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Economia

RIDURRE LA CONFUSIONE

FEDERICO VISCONTI - 25/02/2022

???????????????????La sostenibilità, di tutto, di più. Ben venga che se ne parli, a maggior ragione dopo che nel 2015 l’Onu ha promosso l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Ben venga che si agisca, a differenti livelli della società, coinvolgendo una pluralità di attori, non ultime le imprese.

In una monografia recentemente pubblicata da Patrizia Tettamanzi e Valentina Minutiello (Il Bilancio di sostenibilità come strumento di rendicontazione aziendale) sono analizzati sei casi aziendali: Artsana, Illicaffè, Banfi, Sea, Save the Duck, Moncler.

Il lettore può vagabondare tra decine di esempi sulla tutela dei consumatori, l’analisi di materialità, la misurazione dell’impatto ambientale, il wellbeing, l’inclusione, il codice etico …… Scelte e azioni differenziate in funzione dei percorsi di sostenibilità adottati (e del tipo di attività svolta!) ma accomunate da una radice profonda: progettare, fare, rendicontare, in materia di sviluppo sostenibile.

Remo Grassi, Presidente dell’azienda vitivinicola Banfi, afferma: “Quello che leggo nel bilancio, lo vedo tutti i giorni in azienda”. Per la verità, anche il mitico bilancio d’esercizio (quello delle plusvalenze, dei ratei e dei risconti!) rappresenta quel che accade in azienda, consentendo di valutare se la baracca sta in piedi o no, se c’è grasso che cola o no. Ma il “bilancio di sostenibilità” è altra cosa. Non tanto perchè impiega indicatori non finanziari, ma soprattutto perché presuppone modelli manageriali nuovi, aperti all’ecosistema e sensibili al benessere sociale. Parafrasando Grassi, all’origine del bilancio di sostenibilità c’è il “management della sostenibilità”, fatto di valori forti, orientamento al futuro, competenze innovative, investimenti in patrimonio intangibile. Fatto, al fondo, di “generosità istituzionale”.

Se l’azienda promuove, organizza, coinvolge, mobilita, investe ….. il report lo documenta. E i risultati arrivano: reputazione, soddisfazione dei dipendenti, accesso al mercato dei capitali, efficienza dei processi interni, rafforzamento della supply chain. Con un nota bene: il diavolo fa le pentole ma non i coperchi e la rendicontazione a volte commette peccato. Basti pensare a quando si persegue un obiettivo strumentale: coprire qualche disastro mediante cortine fumogene costruite ad arte. Gli esempi non mancano di certo.

Per concludere, faccio un passo indietro e torno al “di tutto, di più”. Un addetto ai lavori, commentando le prospettive delle imprese nei confronti dello sviluppo sostenibile, ha utilizzato due parole al limite della provocazione: accelerazione e confusione. È fuori discussione che le aziende saranno sempre più sollecitate a mettere in cantiere azioni orientate alla sostenibilità. Il dado è tratto e indietro non si torna. Ma è altresì certo che quanto a punti di riferimento si è ancora in alto mare: non esistono indicatori standard, il rapporto costi-benefici è tutto da approfondire, molti contenuti professionali rimangono da mettere a fuoco.

Tutte ottime ragioni per legittimare il compito di chi fa ricerca e ne diffonde i risultati. Le domande a cui dare risposta non mancano: cosa differenzia le imprese nella adozione delle pratiche di sostenibilità? Cosa c’è da imparare dai modelli virtuosi e da quelli mediocri? Che ruolo assume la dimensione aziendale? E il settore di appartenenza? Per chi di mestiere (a cominciare dalle Università) alimenta la cinghia di trasmissione ricerca-formazione, si profilano autentiche praterie da percorrere osservando la realtà, strutturando le evidenze raccolte, diffondendo conoscenza nelle aule, pubblicando. Obiettivo a cui tendere: contribuire a “ridurre la confusione”. Quanto all’accelerazione, ben venga. È per il bene di tutti.

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