Un terzo dell’elettorato ha dimostrato la propria insofferenza verso una classe politica percepita come arrogante e incapace di riformarsi. Lo ha fatto disertando il voto con un astensionismo record e facendo mancare molti consensi ai partiti personalizzati, spesso coinvolti in episodi corruttivi.
PDL e Lega non sono evaporati ma sono stati severamente ridimensionati dagli elettori, il Centro non è decollato come era nelle intenzioni dei proponenti mentre il Partito Democratico ha tenuto le sue posizioni ma non ha certo trionfato.
La vera novità è il movimento di protesta di Beppe Grillo che però, a differenza della Lega delle origini, non ha caratteristiche ideologiche e lascia largo spazio alle forze nuove della società.
La smentita alla tesi che considera i “grillini” come dei qualunquisti viene dalla composizione delle liste che vede schierati esponenti della piccola impresa, del mondo del lavoro e del volontariato e puntano su temi come l’ambiente, la correttezza e la trasparenza amministrativa. Più che antipolitici sono postpolitici, sembrano umorali e ingenui ma sono probabilmente meno cinici dei vecchi politici che non hanno avuto il coraggio di riformarsi introducendo una nuova legge elettorale, nuove regole per il finanziamento pubblico della politica ed una effettiva democrazia interna, come previsto dalla nostra Costituzione.
Il Partito Democratico si dimostra come l’unico soggetto politico realmente strutturato in tutto il Paese, erede delle due grandi tradizioni della socialdemocrazia e della democrazia cristiana che gli conferiscono un più evidente senso di fedeltà alle istituzioni repubblicane. Tuttavia la sua alleanza con le forze della sinistra radicale, di cui subisce la concorrenza nella scelta dei candidati alle “primarie”, pone un’ipoteca sulle posizioni profondamente differenti di politica nazionale, a cominciare dall’appoggio da riservare al governo Monti. Governo che, dall’esito elettorale, non ha ricevuto alcun rafforzamento perché impegnato in un’azione di rigore che non riscuote molta popolarità da parte dell’elettorato italiano che, d’altronde, dimostra sufficiente senso di responsabilità nel non volere elezioni anticipate che rischierebbero di coinvolgere l’Italia in una crisi di governabilità come quella della Grecia.
Il cambio della presidenza francese, con l’avvento del socialista Hollande, potrebbe tuttavia modificare la situazione europea affiancando alla politica del rigore della Merkel anche quella della crescita.
Il test elettorale, per quanto significativo, non significa un “nuovo inizio”; siamo alle ultime, convulse fasi del “berlusconismo” che ha caratterizzato negativamente gli ultimi vent’anni, illudendo gli italiani di poter risolvere i problemi strutturali del Paesi con la propaganda, anziché con le riforme.
La politica interna è ormai determinata dall’aggressività dei mercati finanziari che hanno la meglio sui singoli stati nazionali i quali possono difendersi soltanto unendosi tra loro in modo da poter controllare il processo della globalizzazione che vede le multinazionali localizzare le industrie verso i Paesi emergenti, dove la mano d’opera senza diritti e protezione sociale viene ampiamente sfruttata.
O si rafforza l’Europa con la moneta unica o non saremo in grado di competere con le aree forti del mondo in una fase caratterizzata dalla più grave crisi economica dal 1929.
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