Lasciata deporre sul pavimento del lungomare Imperatrice la polvere (di stelle) sollevata dal Festival di Sanremo 2022, ci si può avventurare in una breve analisi della carriera di un vero divo redivivo: Amadeus, al secolo Amedeo Sebastiani, nato per caso a Ravenna e cresciuto per scelta a Verona, da dove ha spiccato il volo nello star-system grazie alla conduzione dei Festivalbar degli anni d’oro, quelli dei primi ’90.
Sanremo 2022 era per Amadeus il terzo festival gestito nella doppia veste di direttore artistico e conduttore: un piccolo record, che lo inserisce in una ristrettissima cerchia di monumenti televisivi. Prima di lui, a presentarne tre di seguito, ci sono riusciti solo Pippo Baudo e Mike Bongiorno, per tacere del preistorico Nunzio Filogamo; se assommiamo anche la carica di patròn, resta solo il Pippo Nazionale, che imperversò in riviera dal ’92 al ’96 (ma ‘solo’ dal ’93 anche come direttore artistico).
Tuttavia per Amadeus le porte girevoli del casinò di Sanremo paiono non essersi ancora fermate: mercé un’edizione da record Auditel costante (58% di ascolto medio per le cinque serate, 11 milioni di teste mediamente sintonizzate, Rai che ha venduto gli spazi pubblicitari con un tariffario aumentato del 15% rispetto al 2021, con proventi pari a 42 milioni di euro contro i 25 di spese), per il conduttore de “I soliti Ignoti” c’è la possibilità concreta di ingranare la quarta (edizione); a esplicitarlo è stato l’amministratore delegato Rai Carlo Fuortes, nella conferenza conclusiva del Festival.
A questo punto però, il dilemma: ad Amadeus conviene riprovarci anche nel 2023? La roulette degli ascolti ti può sommergere di fiches, ma la pallina può anche inopinatamente fermarsi sullo zero del fallimento… Qualcuno da dietro le quinte ha già consigliato ad “Ama” di farsi da parte come conduttore, riservandosi ancora un giro in giostra come direttore artistico: mansione prestigiosa, fondamentale e per la quale ha dimostrato di avere fiuto. In caso, potrebbe tornare poi sul palco da salvatore della patria tra un anno o due.
In questo triennio, il conduttore ha svecchiato il festival, aprendo le porte con ferma determinazione a nuove leve di cantanti: basti pensare ai vincitori del ‘22, un duo atipico di divi giovanissimi, formato da Blanco – diciottenne con la faccia d’angelo su un corpo tatuato come nei peggiori bar di Caracas – e Mahmood, 29enne campione nostrano di una gioventù multietnica, fluida e talentuosa. Ma l’anno scorso furono i Maneskin, che hanno sbancato in tutto il mondo dopo Sanremo, e si potrebbe continuare
per molto con i nomi futuribili lanciati da Amadeus dal palco dell’Ariston. La cartina di tornasole anche qui sono stati gli ascolti: i ragazzi nati tra ’97 e 2012 che hanno seguito Sanremo sono stati quest’anno mediamente il 70%.
Davanti alle prime avances per il 2023, Amadeus ha fatto vedere di che pasta è fatto: “È presto per parlarne – ha scandito smorzando abilmente gli entusiasmi – e vorrei discutere con la Rai anche di altri progetti. Un’abilità di trattativa che accomuna tutti i divi tv della sua schiatta: desiderio inesausto di volere sempre di più, di meglio o anche solo di diverso, per non rimanere nel consueto.
È questo il segreto del successo, non accontentarsi mai, neppure quando sul piatto c’è quanto esista di più scintillante e prestigioso, come di sicuro è un Sanremo trionfale? Forse.
Ma è qualcosa che stride con un’altra dichiarazione importante dello stesso Amadeus, vergata sui taccuini dei giornalisti nel 2006, quando la sua carriera si era appena risollevata da una parentesi buia: “Feci un grandissimo errore che mi portò a tre anni di completo silenzio – confessò allora. Quando il telefono non squilla, quando nessuno ti offre una trasmissione e quando giri per strada e la gente ti chiede: ‘Come mai non sei più in tv?’. Che è una cosa che ti fa ancora più male. Ognuno di noi ha avuto momenti difficili. L’importante è non mollare, coltivare l’autostima e diventare consapevoli degli errori che abbiamo fatto”. Amadeus concludeva – all’epoca, quasi profeticamente – così: “Il fatto di essere caduto e poi risalito mi ha permesso di dare un valore alla risalita ancora maggiore della prima volta. E quindi ora quando conduco un programma per me è come se fosse il mio Sanremo, inteso come il programma più importante che puoi fare in tv”.
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