“Arzo 1943” è il titolo di un accurato documentario trasmesso dalla Televisione svizzera italiana domenica 25 gennaio 2022 nella rubrica di approfondimento “Storie” e ora recuperabile sul sito www.tvsvizzera.it, sito dal 2014 indirizzato al pubblico italiano dopo l’oscuramento dei canali elvetici per ragioni tecnologiche e di costo dei diritti di diffusione. Firmato dal regista Ruben Rossello cerca di contribuire a fare nuova luce sul respingimento di Liliana Segre alla frontiera svizzera di Arzo, un paese del mendrisiotto a due passi da Clivio e Saltrio. Una decisione che costò poi la vita ai parenti di Liliana e a lei l’internamento nel campo di sterminio di Auschwitz. Era l’8 dicembre 1943.
Già subito dopo la caduta e l’arresto di Benito Mussolini, il 25 luglio, la Confederazione elvetica aveva scelto di inasprire i respingimenti, fatta eccezione per chi aveva parenti in Svizzera. Ufficialmente il provvedimento di Berna venne motivato col fatto che dopo la caduta del regime, si temeva un massiccio esodo nella Confederazione di fascisti ed ex fascisti. Anche se le eccezioni alle norme furono molte, l’irrigidimento delle stesse costò la vita a decine di ebrei.
La storica Renata Broggini nel suo documentatissimo libro “La frontiera della speranza, 1998” riportò il testo in francese di quelle dure disposizioni che dicevano: 1”. Tutti gli stranieri (civili o militari) che, dall’Italia, tentano di superare clandestinamente la frontiera svizzera devono essere respinti senza altre formalità. 2. I rifugiati stranieri che, dall’Italia, sono riusciti ad entrare clandestinamente in Svizzera devono essere immediatamente respinti in Italia, qualunque sia il posto dove sono stati arrestati”.
Comunque sia le decisioni sui singoli casi non erano adottate dai poteri centrali ma localmente dai militi di confine elvetici. È quanto accadde anche alla famiglia Segre (il padre Alberto con la figlia Liliana e i cugini Rino e Giulio Ravenna di 70 e 71 anni) arrestati dalla Guardia di Finanza in località Selvetta di Viggiù dopo essere stati respinti da un ufficiale svizzero tedesco sordo a tutte le suppliche a lui rivolte. Eppure la presenza di due anziani e di una ragazzina di 13 anni avrebbe dovuto, per ragioni umanitarie, favorire l’accoglienza dell’intera famiglia. Studi e ricerche più recenti dello storico ticinese Adriano Bazzocco dimostrerebbero tuttavia che “al confine con l’Italia è stato respinto un numero di ebrei nettamente più basso di quanto stimato finora”. Sembra infatti, grazie a queste nuove ricerche che l’85,6 % dei 5-6 mila ebrei, giunti alla frontiera in Ticino e Mesolcina dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43, venne accolto. Come accertato dalla Commissione federale Bergier che dal 2000 al 2006 indagò sul comportamento della Svizzera durante il secondo conflitto mondiale, l’atteggiamento protettivo della popolazione nei confronti dei rifugiati contribuì ad attenuare in qualche modo il rigore delle leggi federali.
Accadde anche ad Arzo, ma non per i Segre – Ravenna, in quel lontano autunno. Il documentario della Tsi ne dà conto. Dalle testimonianze di alcune donne, all’epoca ragazzine o appena adolescenti, emergono infatti significativi episodi di solidarietà e di accoglienza nonostante le pesanti sanzioni previste a carico di chi avesse aiutato gli ebrei in fuga. La tragedia dei Segre appare dunque ancora più incomprensibile in rapporto alla quieta vita quotidiana di un piccolo paese del mendrisiotto, legato alle tradizioni della terra, all’emigrazione stagionale e tutt’altro che indifferente a quanto stava accadendo dentro i suoi confini. Anche grazie a preziose immagini d’epoca, “Arzo 1943” riesce a rendere, almeno in parte, le tensioni e le atmosfere, di quel tremendo passaggio della storia italiana che si è consumato dalle nostre parti, a pochi chilometri da Varese. E che storici varesini come Franco Giannantoni (“La shoah, delitto italiano, 2018”) e ricercatori come Francesco Scomazzon (“ Maledetti figli di Giuda vi prenderemo, 2008”) hanno documentato con tenacia negli anni scorsi.
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