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Pensare il Futuro

METANOLAND

MARIO AGOSTINELLI - 10/02/2022

greenRecessioni globali, guerre e (sì) pandemie hanno avuto un ruolo di accelerazione nel ridurre la domanda di energia, in particolare da fonti fossili, fino al 2018 sempre in crescita. Nel 2019, l’Agenzia internazionale per l’energia ha affermato che il crollo della domanda globale di energia primaria provocato dal Covid-19 è stato il calo più grande dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nonostante ciò, la quota di energia rinnovabile è cresciuta ed è stata l’unica fonte di energia che lo ha fatto poiché il consumo di gas, petrolio e carbone è diminuito. Le energie rinnovabili dopo il 2018 non erano solo un settore in crescita energetica; erano l’unico settore in crescita energetica.

Occorre notare che nel mondo – ma non in Italia purtroppo – le installazioni di energia rinnovabile non solo sono aumentate durante la pandemia, ma hanno superato anche le aspettative più ottimistiche, con installazioni eoliche in aumento del 90% e solari in aumento del 23%. A maggio del 2020 l’Agenzia Bloomberg prevedeva che nel 2020 e fino al 2022, il 90% della nuova espansione della capacità energetica a livello globale sarebbe stata affidata a idroelettrico, eolico e fotovoltaico.

Una bilancia sempre più orientata nella direzione delle energie rinnovabili richiede più che solo elettroni. Ci vuole anche capitale. Ovviamente, ciò significa capitale fisico, sotto forma di asset di generazione di energia, ma anche capitale finanziario. Se si combina il capitale fisico con quello finanziario, c’è un altro capitale inevitabilmente da considerare: il capitale umano. Il capitale umano è un circolo virtuoso: più le persone e le istituzioni acquisiscono familiarità con le energie rinnovabili, più sono interessate a finanziarne di più, più competenze creano e più opportunità sbloccano.

Il settore del carbone, in particolare, ma anche quello del gas, ha avuto a lungo un gruppo dedicato di investitori: alcune importanti istituzioni finanziarie si sono attenute fino almeno al 2020 alle loro tesi di investimento nell’energia fossile. Ma anche questa tendenza è venuta a mancare con la pandemia nelle sue ondate successive.

Data la tecnologia, il capitale e la competenza favorevoli alle energie rinnovabili, l’unica domanda sulla forma futura della curva di picco dei fossili è fino a che punto scenderà già a breve e quanto velocemente arriverà a valori insignificanti.

A queste previsioni anticipatrici non solo del mondo ambientalista, ma dello stesso mondo della finanza, le corporation dei fossili (tra queste anche l’ENI) hanno reagito cercando di dar fondo alle proprie riserve e aspettandosi le residue forniture dai Paesi produttori a prezzi costanti o, addirittura, calanti. Non è stato così, data la complessità di un sistema a molte variabili. Per ragioni geopolitiche e per concorrenza con la produzione di gas da scisto dall’America, estratto a buon mercato, ma alla fine assai costoso sotto il profilo ambientale e logistico, i fornitori russi, arabi ed algerini hanno giocato al rialzo, facendo schizzare il chilowattora prodotto dalle centrali a gas ben al di sopra di quello prodotto da fonti naturali come il solare o l’eolico.

Il nostro paese risulta particolarmente esposto, avendo ritardato la crescita di rinnovabili e continuando caparbiamente a mantenere una dipendenza dal metano.

Il tentativo dell’ENI (in primo piano anche a Sanremo con il suo cane a sei zampe dipinto di verde) di spuntare atteggiamenti di favore anche in sede europea, ha portato il nostro Governo ad essere l’unico tra i 27 Paesi a chiedere un innalzamento delle soglie di emissioni di CO2 nella discussione sulla “tassonomia verde”. Un errore grave di prospettiva, cui fa da sponda il Ministro Cingolani, che darebbe ben altri segnali per il futuro delle bollette degli italiani se si realizzasse il raddoppio di potenza da eolico e fotovoltaico che l’Europa ci chiede entro il 2030.

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