Come ha raccontato in diverse interviste Papa Francesco tiene sul suo comodino una statua di San Giuseppe che dorme (una simpatica riproduzione in vendita anche on line). Bergoglio infila sotto il basamento biglietti con alcune tra le tante richieste di miracoli e preghiere che riceve ogni giorno. E poi si addormenta come il Santo.
A metà dicembre del 2021, poi, il Pontefice ha concluso l’anno santo straordinario dedicato allo sposo di Maria, occasione per cui ha scritto una lettera apostolica dal titolo “Patris corde” (Con cuore di Padre). Non stupisce quindi che da mercoledì 17 Novembre scorso Francesco abbia iniziato un ciclo di udienze dedicato a questo Santo e giunto ormai a dieci catechesi. L’ ampio arco di riflessione gli ha permesso di spaziare tra diversi temi: dai “sogni” di San Giuseppe al mestiere di falegname, dalla condizione di migrante durante la fuga in Egitto alla caratteristica del silenzio con cui viene descritto dai Vangeli, dalla tenerezza della sua vocazione di padre putativo alla fiducia nel misterioso disegno di Dio. Ed anche se la stampa si è soffermata spesso solo sugli aspetti più immediati delle udienze (l’appello per i migranti – 29 Dicembre, la “reprimenda” sull’eccessivo amore per cani e gatti a scapito dei figli – 5 Gennaio, la condanna del lavoro minorile e delle morti bianche – 12 Gennaio, l’appello per i carcerati – 19 Gennaio) , in realtà le catechesi di Bergoglio hanno sempre viaggiato in profondità, offrendo un ventaglio di riflessioni sul nostro modo di concepire il rapporto con Dio e con la realtà.
Ha colpito in particolare, in questo faticoso periodo di pandemia, la riflessione sul lavoro che il Papa ha affidato soprattutto all’udienza del 12 Gennaio scorso. Dopo aver spiegato che San Giuseppe in realtà non era solo falegname ma anche carpentiere e artigiano (secondo la tradizione operaia della Palestina) e che quindi aveva una conoscenza ampia dei lavori usuranti, Bergoglio osserva come la piaga attuale della disoccupazione non sia solo una mera questione economica per chi la subisce e le loro famiglie, ma una ferita che va a colpire la stessa concezione della persona.
«Non si tiene abbastanza conto del fatto - dice il Papa – che il lavoro è una componente essenziale nella vita umana. Lavorare non solo serve per procurarsi il giusto sostentamento: è anche un luogo in cui esprimiamo noi stessi, ci sentiamo utili, e impariamo la grande lezione della concretezza, che aiuta la vita spirituale a non diventare spiritualismo». «Tante volte mi domando – prosegue il Papa – vediamo la nostra attività legata anche al destino degli altri, la viviamo come strumento di santificazione»?
Un uomo disoccupato soffre un grave attentato alla coscienza di sé stesso. Come ha osservato don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione: «L’uomo non conosce se stesso quando riflette su di sé, ma percepisce il suo valore, le sue facoltà, quello di cui è capace, solo agendo, lavorando, “in actu exercito” come scrive San Tommaso. Un uomo conosce se stesso in azione».
Non si tratta quindi di combattere la disoccupazione con l’assistenzialismo (pensiamo alla deleteria filosofia che sottende al reddito di cittadinanza) ma di creare nuovi posti di lavoro, diverse possibilità di espressione della creatività umana.
È bello pensare – conclude Bergoglio – che Gesù stesso abbia lavorato e che abbia appreso quel valore proprio da San Giuseppe. Dobbiamo però domandarci oggi: cosa possiamo fare come Chiesa per recuperare il valore del lavoro affinché sia riscattato dalla logica del profitto e possa essere vissuto come diritto-dovere fondamentale della persona che esprime ed incrementa la sua dignità?»
Una domanda che, guardando ai nostri giovani, alla loro precarietà e alle nuove forme di sfruttamento, riveste ancor di più carattere di urgenza.
You must be logged in to post a comment Login