Doveva essere un avvincente Romanzo Quirinale ed ha rischiato di diventare una notte della Repubblica. Non è stato così grazie alla grande risorsa Mattarella, al suo senso dello Stato, e al buon senso dei grandi elettori all’ultimo respiro.
In questi casi il rischio del “Sono tutti uguali, a casa tutti” è forte ma sembra fortunatamente temperato da pensieri più pacati e consapevoli. Forse il populismo (uso raramente questo termine ma stavolta è giustificato) che aveva portato al disastroso risultato elettorale del 2018 è abbastanza attutito.
Se il vero sconfitto politico è indubbiamente Salvini, seguito a lunga distanza da Conte, non ci sono vincenti fra i leader dei vari partiti. Non la Meloni che non si mette mai completamente in gioco, e nemmeno Letta che in alcuni momenti ha giocato troppo di rimessa.
Ora il protagonista torna ad essere Draghi che ha davanti a sé un anno difficilissimo e non solo perché quello pre-elettorale. Lo spread minaccia di rialzarsi, i tanti miliardi delle prossime tranche europee devono essere ancora guadagnati con delle riforme per ora solo sulla carta come quella della Giustizia, del fisco, della transizione ecologica.
Su tutto ciò si staglia la discussione sul Patto di Stabilità europeo con alcuni Stati molto guardinghi verso gli “spendaccioni” fra cui l’Italia. Qui il prestigio e la credibilità di Draghi possono risultare determinanti. In fondo un buon effetto collaterale della vicenda presidenziale è l’abbandono dell’idea salviniana di imbrigliare Draghi con il governo dei “leader” che in realtà interessava solo a lui. Conte avrebbe incontrato l’opposizione irriducibile di Di Maio e Letta è molto più interessato a costruire una coalizione possibilmente vincente per il 2023: traguardo non più impossibile.
Il cambiamento del quadro dei partiti e delle coalizioni è la novità che il Romanzo Quirinale ha squadernato davanti a noi. Tutto appare diverso rispetto a due settimane fa. Il centrodestra è in fortissima crisi. L’asse Pd-M5S, Leu è in difficoltà, il grande centro è tornato a coltivare le sue speranze lungamente disattese.
Molto ruoterà intorno alla risoluzione del progressivo cedimento cinquestelle. Vincerà Conte o Di Maio e su quale linea? O troveranno un accomodamento che lascerà tutto nello stato magmatico di oggi? Chiaro che il “campo largo” del centrosinistra e la possibilità del tentativo centrista dipenderanno anche da questo esito.
Lo scontro decisivo avverrà sul sistema elettorale, quello di oggi è improvvido e da cambiare. O si va sul modello proporzionale tedesco o si va sul maggioritario a due turni alla francese – nel primo si vota il proprio partito, nel secondo si vota chi si ritiene meriti di governare in una sorta di ballottaggio. Questa seconda potrebbe essere una buona soluzione in una politica così frammentata.
Importante e consolante è che, mentre i partiti ridiscutono sé stessi, il governo possa realizzare il suo programma con i vari capitoli debitamente approvati dal Parlamento.
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