«Circa i tre quarti degli studenti delle triennali sono di fatto semianalfabeti», afferma una docente; un altro invece spiega: «Fortunatamente si incontrano anche ragazzi in gamba e preparati». Questi commenti accompagnavano una denuncia sulla deriva della scrittura giovanile fatta all’inizio del 2017 da seicento professori universitari di letteratura italiana, linguisti e da pedagogisti, nonché da sociologi e neuropsichiatri, e naturalmente da accademici della Crusca.
È innegabile che dopo cinque anni la tendenza di troppi giovani a esprimersi male, leggere poco e scrivere peggio è ancora in atto. Inquietante la semplificazione banalizzante del loro linguaggio. Problema non solo loro, a dire il vero. Mai, comunque, generalizzare e mai denunciare senza proporre soluzioni, non mettendo sul banco degli imputati soltanto la scuola o cercando colpevoli ineliminabili, come internet, social e dintorni.
Questa premessa, che in temi scolastici di una volta sarebbe stata chiamata cappello e che necessiterebbe di una documentata analisi e di solide argomentazioni, ci obbliga a interrogarci su come capire la scrittura dei giovani, mettendoci dalla loro parte. Se è vero che le missive sono state sostituite da sms e le pagine dei diari da twitter e da selfie e che i temi scolastici hanno perso non solo il formale cappello iniziale, è altrettanto vero che molti giovani hanno ancora bisogno e voglia di scrivere. Anche questo non va dimenticato e fa apprezzare tutte quelle iniziative, scolastiche e non, che captano tale esigenza, meno minoritaria di quanto si possa pensare. Gli esempi non mancano.
Inevitabilmente da varesini pensiamo alla ormai lunga storia del Premio Chiara giovani, nato negli anni Novanta e denominato così dal 1996, attento alle varie forme di scrittura. Negli anni ha lanciato varie proposte, invitando di volta in volta i giovani a cimentarsi nel saggio o nel racconto, nella recensione o nella narrazione breve costruita partendo da un tema indicato nel bando di concorso. Quest’anno i giovani, nati tra il 2002 e il 2007, costruiranno il loro racconto intorno al tema del “desiderio”. Il recente bando con dettagliate informazioni e scadenze è sul sito e le loro storie saranno esaminate da una giuria presieduta da Bianca Pitzorno, che ha scritto nella sua lunga carriera tante belle storie anche per i giovani.
Ma al di là di queste note informative del Premio è giusto ricordare che quanto scriveranno i giovani, soprattutto i minorenni, sarà ancora una volta un buon osservatorio del mondo giovanile, fatto di sogni o di paure e plasmato dalle parole. La scrittura ha proprio questa forza: dare forma alle idee per tentare di leggere il mondo dentro e fuori di noi.
Il crescendo di partecipazioni al concorso negli anni testimonia che la voglia di scrivere non è ancora, fortunatamente, un dinosauro estinto. Si potrebbe obiettare che il numero di partecipanti non garantisce automaticamente la qualità della comunicazione scritta e che non deve far dimenticare i troppi che scrivono male e che – forse – pensano male o poco. Sacrosanta obiezione. Ma senza cadere nell’abusata immagine del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno i segnali positivi devono essere considerati.
E poi gli adulti, anziché denunciare o lanciare appelli, come fece il gruppo dei seicento, hanno tanti modi, pur tra mille difficoltà, di accompagnare i giovani anche nella scrittura. Magari sarebbe bello rileggere i consigli ad un giovane scrittore di André Gide in cui si ricorda grazie ad essenziali aforismi che la scrittura richiede sempre una grande disciplina. Disciplina interiore, e non formalismi. Ma questa riflessione ci porterebbe lontano, anzi fuori tema.
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