Per alcuni è una manovra orchestrata dagli ambienti “liberal” della Chiesa, per altri un siluro al papa emerito e un avvertimento a Francesco affinché sia più energico sulla via delle riforme, per altri ancora è la dimostrazione dello stato rovinoso in cui versa la Chiesa cattolica. La notizia che Joseph Ratzinger è accusato di non aver vigilato su quattro casi di pedofilia quando era arcivescovo a Monaco di Baviera tra il 1977 e il 1982, ha provocato prevedibili reazioni a catena. Ma immaginare ovunque manovre segrete in atto, mandanti da scoprire e obiettivi da colpire fa parte dei “bizantinismi” di certa mentalità nostrana. Sembra invece un segno di vitalità del Vaticano.
Perché non riconoscere, semplicemente, che le riforme di Francesco tirano diritto senza guardare in faccia a nessuno? Quanto sta accadendo è il risultato magari non previsto dell’abolizione dell’obbligo del silenzio, definito nell’Istruzione Secreta continere approvata da papa Montini il 4 febbraio 1974 e annullato a fine 2019 da Bergoglio. Una forma di tutela delle indagini più delicate che poteva essere dannosa se utilizzata con la finalità di nascondere. Il cardinale Reinhardt Marx, stretto consigliere di Francesco, fu il primo a denunciare che in Germania i dossier che potevano documentare gli abusi e indicare i responsabili erano stati distrutti.
Scandalo, stupore e sospetti. Era inevitabile. Per molti osservatori, dietro alle presunte responsabilità di Ratzinger (tutte ancora da dimostrare), c’è la lotta senza quartiere tra la Curia conservatrice che si rifà all’insegnamento teologico dell’emerito papa tedesco e quella “progressista”, ispirata dal pontefice in carica, che predica una Chiesa povera e di strada, soccorritrice dei più deboli, disposta a modellare le proprie azioni sulle esigenze e i bisogni spesso drammatici della società d’oggi. Di qui l’apertura alle possibili riforme del celibato dei sacerdoti, della formazione dei preti su temi delicati come la sessualità, del coinvolgimento dei laici e delle donne in ruoli apicali.
I due Papi hanno punti di vista diversi anche sulla pedofilia: per Ratzinger il collasso morale della Chiesa è legato alla rivoluzione sessuale del ’68, per Bergoglio invece il problema sono gli abusi del clericalismo. Per il gesuita argentino la colpa dei reati commessi dai membri interni alla Chiesa non è da attribuire a cause esterne. Al contrario, la ricetta giusta è aprire il sacerdozio a nuove graduali opzioni innovative. E alla fine del 2019 ha abolito il segreto pontificio che in passato copriva denunce e insabbiava inchieste. Una novità senza precedenti nella bimillenaria storia della Chiesa cattolica.
Con il Rescriptum ex audientia, firmato il 17 dicembre 2019, Francesco è intervenuto sulla “riservatezza delle cause”. Non sono più coperti dal secretum i processi per pedofilia intentati in Vaticano contro sacerdoti e vescovi. Denuncianti, vittime e testimoni non sono più tenuti alla segretezza ed è ora consentito ai magistrati civili degli altri Paesi di avere accesso agli atti dei procedimenti canonici. Il papa ha inoltre istituito centri di consulenza e ascolto nelle diocesi e organismi di facile accesso per le vittime che vogliono adire le vie legali, ha definito protocolli per esaminare le accuse, per gestire i fatti che coinvolgono i vescovi e codici di condotta.
Casi di molestie sessuali del clero sono stati accertati al di qua e al di là dell’oceano. Francesco li definisce “crimini abominevoli” e si è adoperato concretamente per “proteggere i piccoli dai lupi voraci” intervenendo ad ogni livello. Ha ridotto allo stato laicale l’arcivescovo di Washington Theodore Mc Carrick per violenze su preti e seminaristi ed ha “spretato” il sacerdote cileno Fernando Karadima per motivi analoghi. Che ora l’opera di rinnovamento si sia imbattuta in presunti errori di controllo di Ratzinger in tempi lontani andrà chiarito, ma è il prezzo da pagare se si vogliono davvero cambiare le cose alla luce del sole.
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