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Editoriale

MATTARELLATI

MASSIMO LODI - 28/01/2022

mattarelladraghiVoce diffusa di trent’anni fa: la classe politica è vecchia, superata, consunta. Bisogna spazzarla via. Detto e fatto, complice il repulisti di Mani pulite. Subentratavi quella nuova, progetta di soggiogare il vizio alla virtù. Senza riuscirci: i difetti dei tempi precedenti si replicano e non migliora il prodotto offerto dagl’insediati nei palazzi del potere.

Seguono decenni mediocri, a cavallo del secondo e terzo millennio. Tante speranze, molte delusioni. Berlusconi può  timonare lo sbarco nell’epoca del liberalismo illuminato. Macché. Prodi assicura di poterlo avvicendare con gloria, fidando prima di Letta nel campo largo della sinistra riformista. Figuriamoci. Ne sortisce una crisi di sistema, che incrociando nel 2011 l’emergenza finanziaria è causa del baratro cui l’Italia s’affaccia quando Napolitano licenzia il Silvio IV e chiama Monti a presiedere il governo di salvezza nazionale.

Alto il prezzo pagato dagl’italiani, idem il conto presentato alla classe politica. Che, come vent’anni prima, torna a sembrare vecchia, superata, consunta. Bisogna spazzarla via. Detto e fatto. Nasce il Movimento del Vaffa che poi si salda al leghismo transitato dall’idea indipendentistica alla strategia sovranista. Grillo e Salvini vincono le elezioni del 2018, ma il forzato patto gialloverde cola presto a picco, e così la successiva intesa giallorossa Cinquestelle-Pd. Il fallimento delle due esperienze e l’incapacità dei partiti d’individuarne una terza costringe un anno fa Mattarella ad atteggiarsi al modo di Napolitano con Monti: consegna le chiavi di Palazzo Chigi a un tecnico, stavolta Draghi, per resistere alla pandemia e alla crisi economica.

Da allora a oggi la situazione migliora, ma le questioni sanitaria ed economico-sociale restano. Eravamo in ambasce, continuiamo ad esserlo. Nelle more dei due sventurati drammi, cui si assomma la possibile guerra al confine ucraino, cade la rielezione del capo dello Stato. Cade? No. Arriva secondo i tempi stabiliti. Dunque c’era l’agio d’accogliere l’evento, ingegnarsi ad affrontarlo, metter l’occhio su un bouquet di soluzioni, individuare la più acconcia e condivisa. Nulla di tutto questo.

Facendo il verso al film di Celentano-Pozzetto, “Lui è peggio di me”, la nuova classe politica si spazza via da sé stessa, denunziandosi inappropriata. Altro che testimonianza di maturità, consapevolezza, efficienza. Lo spettacolo di questi giorni delude, avvilisce, disgusta. I rappresentanti d’un Paese dovrebbero costituire il fior fiore dei rappresentati e invece continua a manifestarsi il contrario: i prescelti dal popolo si rivelano indegni (debite eccezioni a parte) d’esserne perfino le riserve. Egoisti, litigiosi, inadeguati, ridicoli. L’opposto d’una rivoluzionaria naïvete, di cui si è celebrato il provvidenzialismo. Perciò: confermato l’inquilino del Quirinale (il Mattarella bis in parallelo a Draghi premier continuista: ci voleva tanto?) , si dovrà cambiare la mesta contemporaneità, marchiata da una generazione d’adultescenti -sentenza del neuropsichiatra Ammanniti- che va rimossa. Sotto a chi tocca, pur se repetita non iuvant.

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