Davanti alle innumerabili parole dette e scritte, tutte schiette e sincere, in occasione della morte di David Maria Sassoli, di fronte alle toccanti testimonianze dei figli, della moglie, dei numerosi amici, degli uomini delle istituzioni nazionale ed europei, mi sono chiesto: “Da dove proveniva il fascino, o, meglio, il carisma di questo uomo?”
Il mio pensiero è andato agli anni splendidi di speranze che il Concilio e il ‘68 avevano suscitate e maledetti per il costo di sangue e di sconfitte che ha chiesto. In quella stagione, per molti straordinariamente ottimista e per altri così scettica al punto da provocare lo smarrimento della ragione e della speranza, nacquero in Italia piccoli gruppi di cristiani desiderosi di vivere la radicalità del Vangelo e la loro laicità nella realtà della politica (non dei partiti!).
A Roma, tra i molti, negli anni ’80 si era formato un gruppo chiamato “La rosa bianca”, nome mutuato dal movimento di giovani tedeschi antinazisti, attivo dal ’42 al ’43, arrestati e condannati a morte per aver distribuito volantini contro il regime nazista. A questo gruppo si avvicinò il giovane David Sassoli. Proveniva dallo scautismo cattolico e da esso imparò la sobrietà di vita, l’amore per la natura, la relazione con gli altri, doti effuse di una personalità mite, ma ferma, leale con tutti, allegra, spensierata e nel contempo attenta ai bisogni della povera gente, desiderosa di approfondire nella riflessione con gli amici il senso da dare ai propri giorni come servizio agli altri. Era un “leader naturale” e un uomo buono.
Cattolico, praticava la sua fede non con il bigottismo delle pie devozioni, ma con l’esempio di vita che traeva dalla Parola che non muore mai. Non era un bigotto, ma nemmeno uno spavaldo. Non rimpiangeva le forme tradizionali, ma acquisì col tempo una libertà di coscienza che non lo collocava né tra gli arroccamenti del conservatorismo né tra le fughe in avanti di certi progressisti. Come molti altri, si sentiva libero dalla necessità di scegliere politicamente e di cercare con gli altri la Verità. Ricordava a sé stesso i consigli che aveva ricevuto dallo studio della religione, ma gli sembrava che la teologia – o la dottrina – sfiorasse il suo interrogativo senza fornire una vera risposta.
Si gettò nel giornalismo e ben presto divenne un volto conosciuto e amato dai telespettatori. Nei suoi servizi usava termini pacati, ma decisi. Non usava la parola al servizio del potere, si esprimeva semplicemente e chiaramente e chi l’ascoltava entrava subito in empatia con questo giovane giornalista dal ciuffo sbarazzino. Era un competente comunicatore.
Mediante la libertà, David Maria acquisì la competenza nei confronti delle istituzioni, sentì di essere diventato più vicino a tutti gli uomini che incontrava sul suo cammino, soprattutto dei più poveri. Di fronte al pericolo di dissolvere la fede in una religione vana o – peggio ancora – in un’ideologia politica, riconobbe che la grazia di Cristo si può effettuare anche con la carità, di cui la politica è la più alta forma. Mentre i valori umani venivano calpestati da una politica miope, e, in diversi casi, da credenti non tanto brillanti per maturità umana, cristiana e competenza professionale, alcuni dei quali coinvolti in reati personali e collettivi, capì che l’inettitudine della politica era dovuta anche alla crisi dei valori cristiani che venivano ostentati più con le parole che con le azioni. Anche se inadatto all’addomesticamento del conformismo, accettò la candidatura alle elezioni europee nel 2009 fino a divenire Presidente del Parlamento di Strasburgo. E divenne un politico coerente con ciò che annunciava.
Rimase sempre quello di una volta. Anche dallo scranno di Strasburgo o di Bruxelles inaugurò la politica che fosse degna di questo nome e che si ispirasse sempre alla visione e all’insegnamento dei padri fondatori dell’Europa. Nel suo alto incarico sembrava voler restituire all’Europa i doni ricevuti per natura: l’orgoglio del modello democratico, l’amore per la giustizia, la difesa per i diritti di tutti. Convinto europeista, percepiva l’Europa non come un incidente della storia, ma un’idea da far sviluppare per unire, conciliare, tessere, e talvolta rammendare, le ferite nate dai nazionalismi.
Dobbiamo a David Maria una grande riconoscenza e quell’applauso segreto che ciascuno di noi sa levare nella parte più gelosa del proprio cuore.
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