L’antigiudaismo cristiano ha radici indubbiamente secolari e data dai primi tempi di sviluppo dell’istituzione Chiesa. Il primo malinteso terminologico sta già nella parola Torah, intesa come legge, anziché dottrina, istruzione, insegnamento. La catechesi di Papa Francesco sulla Lettera ai Galati della scorsa estate è servita ad avvalorare lo stereotipo e una comprensione inadeguata della legge giudaica nella pratica religiosa attuale. La Lettera ai Galati di Paolo, rivolta alle comunità cristiane della Galazia (centro della Turchia) negli anni 56-57, anticipo della Lettera ai Romani, chiarisce: perché per le opere della Legge non sarà giustificato nessun mortale; se la giustizia proviene dalla Legge, allora Cristo è morto per nulla. La giustificazione viene dalla fedeltà e solo del Cristo è la liberazione da ogni servitù. La libertà è per la carità. È pur vero che Paolo, almeno nelle sue lettere autentiche, non dice che la Torah è abrogata. La Lettera ai Galati piuttosto è da interpretare come un Work in progress in un forte contesto polemico e concitato. Paolo non è, come Agostino, un convertito.
Affermare che Gesù è il Messia non significa rompere con l’ebraismo. Accanto al Paolo esclusivista (v. Phil. 3,8-9) (i vantaggi della carne sono definiti spazzatura rispetto alla sublime conoscenza di Cristo Signore) c’è quello della Lettera ai Romani 11, 16-18, lettera scritta nell’inverno tra il 57 e il 58 da Corinto: la radice Israele è santa, lo sono anche i rami; tu gentile, gettando un olivastro selvatico, sei stato innestato al posto loro.
Cristo è il fine, come la fine della Legge, telos nomou, finalità come giustizia-salvezza, ma la Legge ha anche una fine nel contesto apocalittico- escatologico. La dottrina messianica pone al centro il valore teologico dell’alleanza. Gesù è venuto a predicare il Regno. Per Maimonide (XII secolo d.C.) scopo della Torah è il senso del Regno, sradicare l’idolatria. E il distacco dei Cristiani è avvenuto comunque nella discontinuità, in chiave di teologia della sostituzione. La Chiesa del post-Concilio è passata dalla filiazione alla fratellanza.
Per Nietzsche Paolo ha come inventato il Cristianesimo, contrapponendo la spiritualità della fede alla carnalità della Torah.
La Lettera agli Ebrei non è di Paolo, anche se posta a chiusura delle lettere Paoline. Gli Ebrei destinatari sono cristiani provenienti dal giudaismo, ma tentati di ritornare alla loro fede ebraica. Alla parte dottrinale, dogmatica, ne segue una parenetica, con l’invito a perseverare nella fede abbracciata. VV. 8-13: Nel parlare di un’alleanza nuova Dio ha reso antiquata la precedente. Ora, ogni cosa che viene resa antiquata e che invecchia è vicina a scomparire. Rinnovata però non significa sostituita.
La Lettera agli Ebrei pone uno spartiacque fondamentale nel segnare la fine della logica sacrificale, definitivamente superata sulla croce e può essere una base credibile per un dialogo interreligioso a tutto campo. Dopo il 70, data della distruzione del Tempio di Gerusalemme, i cammini di cristianesimo ed ebraismo tendono a divaricarsi in un clima di polemica e acredine. Perciò è necessario riscoprire il Gesù storico e poi il contesto della Chiesa nascente. Si deve tener conto del fatto che gli ebrei di oggi sono tutti figli della Torah orale, dell’opportuna convinzione manifestata da Giovanni Paolo II a Mainz nel 1980 nel senso di un’alleanza mai revocata, del non potersi ridurre il problema del dialogo in chiave geopolitica. Certo è difficile reperirne la possibilità nei Padri della Chiesa o nel magistero pre-conciliare, prima di Nostra aetate.
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