Ho scoperto di essere languida. O forse – non montiamoci la testa – sarebbe meglio dire “languente”. Lo sentenzia il New York Times nel pezzo più letto del 2021, uscito nell’Aprile scorso e ripreso da Gianluca Mercuri sul Corriere della sera il 1° gennaio. There’s a Name for the Blah you’re feeling: it’s Called Languishing titola il quotidiano statunitense (C’è un nome per il “Blah” che sentite: si chiama languore). Mercuri lo ricollega addirittura al languore foscoliano (Non son chi fui: perì di noi gran parte / questo che avanza è sol languore e pianto) che, tuttavia, era più facilmente riconoscibile, poiché sfociava nel pianto. Quello che si è insinuato nella nostra vita in questi due anni di pandemia, invece, è più subdolo, un malessere indefinito.
È proprio così. Non so se capiti anche a voi, ma a me succede di passare interi pomeriggi chiedendomi cosa fare. Scrivo? Non ho idee che mi convincano né argomenti che mi attraggano. Leggo? Ma quale libro apro? Uno nuovo o quello già iniziato? Disegno? Non c’è un soggetto che mi ispiri. Riordino i documenti? Blah! (qui è proprio il caso di dirlo). Poi magari comincio alcune di queste attività e arrivo a sera con la sensazione di non aver fatto niente di costruttivo. E i piccoli fastidi quotidiani li vivo come ostacoli difficili da superare: la tapparella che si blocca, l’elettrodomestico che non funziona, l’operaio che non arriva, gli adempimenti burocratici che mi assillano.
“È un senso di stagnazione e di vuoto” dice lo psicologo Adam Grant, autore dell’articolo del NYT. Già nel primo anno di pandemia si era diffusa questa strana condizione emotiva non ben definita: “Non era esaurimento – avevamo ancora energia. Non era depressione – non ci sentivamo senza speranza”. E ipotizzava che potesse essere l’emozione dominante del 2021.
Speriamo! Speriamo che si fermi al 2021 e che resti nel limbo in cui si è collocata, che non le venga in mente di trasformarsi in depressione o comunque di accompagnarci per tutto l’anno appena iniziato. Perché, anche se mi ha dato una certa consolazione apprendere che è un disturbo diffuso, non è vero che “mal comune mezzo gaudio”. Non mi sento affatto gaudiosa nel leggere che, secondo Grant, il languore smorza la mia motivazione, disturba la mia capacità di concentrazione e può trasformarsi in depressione vera e propria. Certo, sono consapevole del disagio, ma sapere di essere sulla via di un disturbo mentale non è per nulla confortante.
Tuttavia un antidoto pare ci sia: bisogna lasciarsi “assorbire” da qualcosa che risvegli il nostro interesse e dunque la capacità di concentrazione, un’attività in cui “il senso del tempo, del luogo e di sé si scioglie”. Può essere anche un semplice cruciverba o una serie televisiva che ci appassiona, qualunque cosa ci faccia uscire dall’indifferenza. Meglio ancora se si tratta di “un progetto, un obiettivo che ci sembri degno, ma anche una conversazione significativa, di quelle per cui non si trova mai il tempo”.
Non per essere presuntuosi, ma non c’era bisogno di uno psicologo per tentare questa strada. Infatti è proprio il motivo per cui mi sono messa alla tastiera a scrivere e, quando avrò finito, mi imporrò di sedermi in poltrona a leggere il libro che ho iniziato. I documenti, no: li riordinerò domani. Forse. Mi sembra, però, che il rimedio proposto non risolva il problema: e se il languore è tale da annullare la volontà e da togliere il piacere che certe attività ci regalano? E se, dopo essere ricorsi all’antidoto, torniamo a renderci conto che è solo un placebo e che ciò di cui abbiamo davvero bisogno è la serenità di una vita libera e il calore di un abbraccio?
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