Se dovessimo valutare l’indole di un paese (e speriamo non il destino!) dal suo Concerto di Capodanno sarebbe forse meglio fare altro, tipo mangiarsi un bel piatto di cotechino con le lenticchie.
I fatti sono questi: a Vienna, nel tradizionalissimo Concerto di Capodanno dal Musikverein, con i Wiener Philarmoniker diretti dal maestro Daniel Barenboim (che mancava su quel podio dal 2014), vanno in scena uno dopo l’altro i classici valzer e le polke degli Strauss, nonché – attenzione! innovazione! – debuttano nel sempiterno programma brani di Carl Michael Ziehrer e Joseph Hellmesberger Jr, alla loro prima esecuzione all’interno del concerto del primo gennaio.
Rigore austroungarico in sala, mezza vuota soprattutto nell’ordine superiore a causa delle ben note restrizioni anticovid, soliti cascami di fiori al confine con il pacchiano, grandi lampadari di cristallo, gentiluomini in livrea e gentildonne dalle appariscenti mises. Le signore che vengono dall’estero si riconoscono subito, come i tedeschi “sandalati” sulle spiagge a Jesolo in agosto.
Immancabile il pomposo finale con bis sulla Marcia di Radetzky, composta da Strauss padre per celebrare la riconquista austriaca di Milano dopo i moti del ’48 ed eseguita per la prima volta nel corso di una “festa per la Gran vittoria” al “Cafè Pavillon” di Vienna; tutti – ieri come oggi – a battere le mani a tempo e per fortuna che c’è il severo maestro di turno a dare il ritmo, essendo l’augusto pubblico forse obnubilato dallo champagne ingurgitato fino a poche ore prima, nei vari prestigiosi veglioni. La diretta del concerto viennese, su Raidue alle 13.30, dà giusto spazio a un appuntamento canonico.
Da qualche anno, per l’esattezza diciannove, a rinsaldare l’orgoglio italiano ci ha pensato il Gran Teatro la Fenice di Venezia, che mette in campo un analogo appuntamento. Ovviamente e giustamente rivisto in salsa tricolore il programma di sala: dopo una doverosa prima parte sinfonica (benevolmente ma indicativamente omessa dalla diretta televisiva), la seconda parte – trasmessa dalla rete Rai ammiraglia a partire dalle 12.20 – squaderna alle orecchie di esperti e profani il miglior repertorio operistico nostrano, dalle cose stranote a quelle appena un po’ meno sentite.
Il maestro Fabio Luisi guida l’Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice e i due solisti, il soprano Pretty Yende (con toilette bizzarre) e il tenore Brian Jagde (con occhi bistrati alla Maneskin), con piglio sicuro e diligente, nemmeno una vezzosa chioma svolazzante o un fermacravatta dal design originale.
Il pezzo scelto per il finale – come sempre, cioè l’equivalente della Marcia di Radetzky a Vienna – è molto italiano, ma non è come sarebbe lecito supporre il ‘Va Pensiero’ verdiano, e nemmeno il pucciniano ‘Nessun Dorma’ (brani che per importanza e tensione emotiva ben figurerebbero come bis finali), bensì il giovialissimo “Libiam ne’ lieti calici” dalla Traviata. Anche qui un bel battimano finale, forse per scandire meglio il passo verso la tavola apparecchiata del primo dell’anno, senonché… succede l’imponderabile.
Già, perché il burocrate Rai decide di lasciare spazio al TG1 dell’una e trenta con precisione svizzera (o meglio: austro-ungarica) e sfuma il concerto senza remore; “è durato fin troppo” deve aver pensato rigirandosi lo stuzzicadenti in bocca, lui come quel suo collega che fece lo stesso a Sanremo ’77, tagliando la proclamazione dei vincitori. Solo che all’epoca si parlava di Homo Sapiens, qui di Giuseppe Verdi: sic transit gloria mundi. In ogni caso, se il buon anno televisivo si vede dal mattino… auguri!
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