Ribadivo la volta scorsa, nell’apologia prenatalizia il TE DEUM LAUDAMUS all’indirizzo di questo nostro tempo, così difficile, di questo anno concluso più con timore che con una gaia speranza. Ripartiamo dalla constatazione che ogni giusta prospettiva per il futuro si basa più su di un dono misterioso che sulle nostre deboli forze, tuttavia una piccola riflessione critica sul presente occorre farla.
Tralascerò ancora una volta gli argomenti strettamente politici, quirinalizi o varesini, per allargare lo sguardo all’orizzonte più globale e insieme più direttamente e personalmente umano: quello della parola.
Non è una novità assoluta, ma voglio tornarci sopra proprio all’inizio di un anno come questo, spinto soprattutto da un episodio piccolo piccolo, delle dimensioni di un asterisco, quello con cui seicentomila giovani cattolici tedeschi, riuniti nella Katholische Junge Gemeinde, hanno avanzato ufficialmente la proposta di mettere un asterisco dopo la parola Gott, Dio. Giusto per chiederci, insieme a qualche illustre commentatore, se il nuovo cancelliere tedesco Scholz, non si sarebbe rifiutato di giurare sulla formula tradizionale: “così Dio mi aiuti”, se avesse trovato un asterisco in coda a ‘Gott’, come suggerito dagli zelanti giovani innovatori cattolici. Sinceramente credo di no. Nemmeno credo che sarebbero diminuite le persecuzioni contro i cristiani nel mondo islamico integralista, o in quello indù o in certi settori buddisti, sì, proprio quei mondi che a noi sembrano parlare esclusivamente di amore e di non-violenza.
Questo piccolo asterisco è segno di una grande resa, quella del linguaggio dell’analogia, o della metafora se preferite rifarvi alla retorica piuttosto che alla filosofia. Ma occorre essere consapevoli che la rinuncia a questo linguaggio per assumere quello necessariamente ‘perfetto’ della matematica e dell’informatica, che non ammette ambiguità e possibilità di errore, significa rinunciare a qualcosa di più che alla cittadinanza della religione fuori dalle porte delle chiese. Significa perdere il significato del nostro linguaggio, in qualunque lingua umana espresso, fosse pure una neolingua priva di maschile e di femminile, di colori e di identità, di trasgressioni semantiche.
Tranquilli. Troppo inquietante per essere vero. Però, se fosse qui l’amico Onirio Desti a soffiarmi sul collo, pur sorretto dal suo inguaribile ottimismo, forse userebbe la sua fantasiosa proiezione al futuro per porci un serio problema: ma tutto questo bagno di scienza cui ci ha costretto la pandemia, ci ha veramente insegnato un nuovo modo di leggere la realtà o, paradossalmente, ci ha fatti ritornare indietro?
Sì, ci ha fatti tornare indietro, all’universo del pressappoco, popolato di profeti di sventura e di imbonitori di regime, a seconda dei casi. Fidatevi della scienza, ci dicono. Fidarsi? Ma come, i risultati della scienza non nascono da certezze incontrovertibili? Sono invece solo statistiche, piene di eccezioni maligne? Quello che ci raccontate è pura narrazione? Non c’è uno straccio di dimostrazione, ma solo ipotesi sperimentali, confermate da statistiche di breve periodo e smentite dalle ondate e dalle varianti successive? I dati che ci ammannite sottolineano il positivo e il negativo (curiosamente a parti invertite) a seconda dello scopo politico che il governo intende raggiungere? Ma è la scienza che guida la politica, meglio il Comitato Tecnico Scientifico, un organo scelto dal governo o viceversa? Qui mi fermo, per non rischiare di essere frainteso per no-vax, io, tre volte adulto e tre volte vaccinato convintamente. Ma per l’appunto mi autodenuncio di aver prestato fede non alla scienza, ma ad una sollecitazione politico-sociale, d’aver compiuto un calcolo statistico-economico di mia convenienza, mentre nego recisamente di aver aderito ad una conclusione scientifica. Si presta fede alla religione, dalla scienza si pretendono certezze, seppure empiriche.
Apro con questo una strada antiscientifica ai negazionisti del virus, della vaccinazione, financo ai renitenti al green-pass? Per nulla al mondo. Ma obietto drasticamente alla pretesa della scienza e della politica di farsi, insieme, neoreligione e neolingua, quindi neomoralità suprema. Scienza e Politica mi piacciono moltissimo, finché stanno al loro posto e fanno il loro mestiere, separatamente. M’inquieta invece questa strana associazione per l’emergenza permanente che pretende, senza nemmeno riuscirci, d’imporre criteri morali nuovi, laddove non ha il coraggio di definire obblighi giuridici. Coscienza, parola e libertà morale sono affar mio solamente.
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