Notizie tragiche le ascoltiamo o le leggiamo tutti i giorni, ma quando queste riguardano i bambini ciascuno di noi prova uno smarrimento agghiacciante.
Daniele e Francesco – rispettivamente 7anni di Morazzone e 2 anni e mezzo di Torre del Greco – non hanno concluso la loro esistenza terrena per una malattia grave o per un incidente, ma per volontà “malata” di un loro genitore, ovvero della persona che più li avrebbe dovuti amare, tutelare, sostenere. Per il piccolo Francesco la mamma temeva una crescita inadeguata, per Daniele, bello, sorridente, contento di vivere, la motivazione è al di fuori da sé stesso, in quanto capro espiatorio di un odio covato tra genitori.
Quali sono state le colpe dei due piccoli? Quelle di esistere! Ma entrambi non hanno chiesto di venire al mondo perché nessuno è responsabile della propria nascita! Tutti siamo invece responsabili di far vivere bene chi nasce. Quante volte ho sentito pronunciare dal mio maestro pavese, il compianto professor Burgio, queste parole, cui aggiungeva che nessun bambino è un bambino qualunque e nessun bambino dovrà diventare un uomo qualunque. Ma in questo caso non è stata data a questi due pargoli la possibilità di diventare adulti.
Eccesso di amore, qualcuno potrebbe ipotizzare per il caso del piccolo Francesco, al contrario odio efferato da parte del padre di Daniele. Che dire? Non mi permetterei mai di entrare nel merito giuridico sulle scelte dei magistrati in questo ultimo caso: hanno applicato la legge, la fredda legge purtroppo. Daniele non immaginava che quel suo papà che lui definiva “cattivo” si sarebbe presentato come un orco con un coltellaccio che gli avrebbe poi reciso probabilmente la carotide. Forse in qualche sogno-incubo magari gli è toccato di immaginarlo così, dopo qualche litigata con la mamma. Ma, come succede ai bambini, gli voleva bene, perché era il suo papà, che lui – maturo oltre la sua età – sapeva perdonare ogni volta.
Francesco non ha avuto il tempo di crescere e di essere aiutato, qualora si fossero manifestati i problemi, magari frutto solo di una patologia materna o di una errata interpretazione di qualche referto medico. La personalità della mamma, magari fragile, le ha provocato una chiusura in sé stessa, con l’unico paradossale desiderio di proteggere la propria creatura, purtroppo con la morte.
Ora sono entrambi piccoli angeli che da lassù ci pongono tante domande e fanno riflettere questa distratta società in cui sembra che i bambini non abbiano voce o che il loro grido di dolore sia inascoltato. Come non sono sufficienti i regali per colmare il bisogno di affetto dei figli, così non mettiamoli sempre al centro delle tensioni del mondo adulto. Basterebbe invece essere molto attenti ai tanti piccoli particolari o segnali che a qualunque età lanciano al mondo dei grandi che li circondano: somatizzano spesso e volentieri perché “parlano” con il loro corpo!
Mettersi alla loro altezza, ovvero abbassarsi – come suggeriva Korczak, autore di “Come amare il bambino” – e forse il loro grido di dolore sarebbe percepito. Lo chiedono a ciascuno di noi questi due angeli, per evitare altri episodi simili.
Daniele magari avrà espresso con qualche disegno il suo disagio o semplicemente con il rifiuto di stare con il padre. Ma la legge glielo imponeva. E lui da bravo bambino ubbidiva.
Francesco è passato dal caldo abbraccio materno alle gelide acque vicine a una spiaggia buia, come fosse l’antro dell’orco. Chissà cosa avrà provato, povero piccolo, quando ha cercato di ribellarsi, ma le acque lo hanno inghiottito senza che lui ne avesse colpa o possibilità di difendersi.
E ora rimangono le lacrime, i sensi di colpa, la rabbia per non aver capito i rischi che entrambi correvano. Rendiamoci tutti promotori di una società più attenta.
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