Il “popolo dell’acqua”, una rete di cittadini e movimenti che si oppongono alla privatizzazione progressiva di un bene essenziale per la vita di tutti e che sa di non avere il sostegno delle maggiori forze politiche, in maniera sorprendente nel 2011 erano riusciti a vincere un referendum sulla gestione dell’acqua. Una vittoria che deve ancora concretizzarsi a livello di legislazione nazionale.
Anzi, c’è il pericolo concreto che l’acqua sia quotata in borsa, come già avvenuto a quella di New York. Quello che è in gioco adesso, come sanno bene e da molto tempo i decisori politici, è lo stesso accesso all’acqua potabile. Un diritto desinato a diventare sempre più difficile, anche in Paesi che non hanno mai sofferto problemi di siccità. Guerre, carestie e migrazioni sono state da sempre originate da questioni legate all’acqua. Ma ora la rarità di tale bene è arrivata ad un punto che vede scendere in campo il mercato finanziario. Il prezzo fissato dal contratto di compravendita a lungo termine (detto “futures”) di un certo quantitativo d’acqua diventa oggetto di speculazione finanziaria. Fino alla scadenza del contratto, il prezzo convenuto è “titolo” finanziario (cioè, un avere finanziario: un credito per il venditore, un debito per l’acquirente).
Il contratto future, ideato come strumento di garanzia, è diventato, per meccanismi endogeni al mercato, oggetto di scommesse e speculazioni in base alla quotazione del bene oggetto della vendita. In questo modo un bene essenziale alla vita, un diritto umano diventa uno strumento al servizio del profitto speculativo. Quello che appare un fenomeno complesso e difficile da capire teoricamente ha la capacità molto concreta, con l’andare del tempo, di rendere inefficace la risoluzione dell’Onu del 2010 che ha dichiarato il diritto all’acqua come “un diritto umano universale e fondamentale”. La definizione progressiva di un prezzo per l’accesso ad una risorsa così preziosa ha il potere di escludere intere fasce di popolazione da un bene che è per definizione comune.
L’iniziativa per contestare la presenza dell’acqua in Borsa si presenta decisamente in salita ma si basa sulla convinzione dei movimenti di cittadinanza globale di invertire la rotta e di non considerare l’acqua un prodotto puramente utilitario. Non per nulla le società di gestione sono chiamate “utilities”.
Allora, a Natale, quando i più piccoli vedono comparire una slitta con Babbo Natale che scivola sull’acqua ghiacciata si ricordino che non deve pagare nessun pedaggio per portare i suoi doni!
C’è poi un altro tema da augurarci per un cambiamento desiderabile e permanente: lasciare nei depositi le armi e, col tempo, smontarle pezzo a pezzo e riporle nei musei. Il tema delle armi nucleari non appartiene solo al Novecento, a immagini in bianco e nero. Il problema è attualissimo: basti pensare che oggi nel mondo ci sono circa 13.000 testate nucleari: 9.000 in coda per lo smantellamento (ma ancora intatte) e 4.000 pronte all’uso sui missili intercontinentali e nelle basi militari.
È passato mezzo secolo dalla firma del TNP (il Trattato di non proliferazione nucleare), firmato nel 1968, che richiede ai Paesi firmatari d’impegnarsi per il disarmo e per l’uso dell’energia nucleare solo a fini pacifici, eppure numeri fotografano una realtà preoccupante.
Il processo di disarmo sembra essere a una battuta d’arresto. Intanto l’opzione nucleare continua a comparire nei documenti strategici delle grandi potenze e della Nato, che ha recentemente sottolineato l’importanza «dell’impegno a mantenere un mix appropriato di capacità di difesa nucleare, convenzionale e missilistica per la deterrenza e la difesa» (estratti di un comunicato del Consiglio Nord Atlantico, Bruxelles 14 giugno 2021).
Ma c’è anche un “popolo” di buona volontà. Nel 2020 sono state presentate a Berlino 22 proposte, le cosiddette Stepping Stones: «Trampolini di lancio per l’avanzamento del disarmo nucleare progettati per ridurre in vario modo l’importanza delle armi nucleari, ricostruire abitudini di cooperazione, ridurre i rischi nucleari e aumentare la trasparenza». E, oltre al popolo, anche la finanza etica dice no al nucleare.
Etica Sgr ha escluso l’atomo dai comparti in cui investe e sono esclusi anche gli investimenti in altre armi controverse così come in armi convenzionali. Fateci caso, sotto Natale, se avete qualche risparmio da mettere da parte. Ci sono fondi comuni
che dicono no a qualsiasi produttore di armi fin da quando sono stati istituiti, come quelli di Banca Etica dal 2003. Fareste così vivere concretamente uno dei principi fondamentali della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (Art. 11).
In ogni caso davvero Buon Natale e un anno 2022 pieno di speranze non transitorie!
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