“Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri”. Definizione data da Antonio Gramsci: sinteticamente efficace nella sua potente semplicità. Definizione attualissima nell’epoca di quel magazzino che è internet, anche se è bene ricordare che il rischio di confondere la quantità di informazioni con cultura ha spesso fatto capolino nella storia. Fortunatamente è un rischio contro il quale – se vogliamo – ci sono ottimi vaccini di cui dovremmo conoscere i nomi: filosofia, letteratura, amore disinteressato per il sapere.
Eppure sappiamo che la realtà è spesso ben diversa. Mancanza di cultura vera? Forse. Non dobbiamo, però, cedere alla acritica tentazione di giudizi esclusivamente o eccessivamente pessimisti. Proprio per questo anche avvenimenti apparentemente di cronaca locale possono diventare buoni esempi e stimoli per sperare.
Una testimonianza arriva dai festeggiamenti per i trentacinque anni dei “Quaderni del Cairoli”, lo storico Liceo Classico varesino. Per la cronaca venerdì 10 dicembre al De Filippi, alla presenza di autorità come il Prof. Giuseppe Carcano, Dirigente Scolastico dell’Ufficio Territoriale e l’assessore Enzo Laforgia, è stato presentato il senso di questo impegno culturale. Qui la cronaca deve cedere il passo alla riflessione, o meglio alle parole dei protagonisti dell’incontro. Le relazioni fatte dall’attuale dirigente scolastico, prof. Salvatore Consolo, e dal preside benemerito, prof Livio Ghirighelli, che volle nel 1987 dare nuova vita agli Annuari del liceo chiamandoli in modo significativo “Quaderni”, dai professori Renzo Talamona, Nerella Botta e Silvio Raffo, sono state appassionate, ricche di suggestioni. E soprattutto non inquinate da retorica nostalgia del passato ma dense di forza progettuale.
In fondo percorrere la storia significa proprio questo e, facendo vivere il pensiero gramsciano, sapere che posto teniamo anche nel presente. Il dirigente Consolo ha giustamente ricordato che: «Gli annuari nella scuola italiana hanno una lunga tradizione e nascono ben prima del fascismo, fin dai primi anni di vita dello Stato unitario. Correva infatti l’anno 1874 quando il Ministro della Pubblica Istruzione Ruggiero Bonghi con la circolare 411 del 20 novembre 1874 prescriveva ai Ginnasi e ai Licei del Regno di stampare ogni anno un fascicoletto di cui si indicava il contenuto con la finalità che veniva così esplicitata: “Il cittadino conosce l’aspetto del fabbricato, vede ogni dì accorrervi la scolaresca; il moto, la vita interiore non vede, né ha dati per apprezzarne il valore e l’operosità degli insegnanti, l’operosità e il profitto degli alunni. […] Quindi giudizi incerti, opinioni vaghe, e la difficoltà di farsi un giusto concetto delle nostre scuole. Bisogna che dalle aule scolastiche venga fuori qualche cosa che rechi all’aperto il congegno ed il lavoro interno; e sia agli stranieri non meno che agli italiani documento di capacità e buon volere”. Una precisazione storica che traduce il motto di quanta innovazione ci può essere nella tradizione».
E da qui si deve partire, ricordando – come ha fatto, con la lucidità non comune di un novantenne, Livio Ghiringhelli – che non ci debba essere opposizione tra cultura classica e scientifica, se vogliamo un autentico umanesimo. E, potremmo aggiungere, una vera cultura.
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