La vettura sfreccia sull’autostrada, supera mastodontici autotreni. La conversazione con l’amico, che ha avuto la gentilezza di accompagnarmi a rendere l’ultimo saluto ad un grande pastore di anime, europeista convinto, uomo del dialogo, amante della montagna, si è sospesa. “Stai dormendo?” – mi chiede l’amico. “No, sto riflettendo a quello che ho da lui ereditato. Mi sarà difficile custodirlo. Dovremo riguadagnarlo per possederlo ancora. Della sua idea di Europa è rimasto ben poco! Sono critico verso questa Europa perché vorrei che si distinguesse tra le cose buone da essa conquistate in campo economico – l’euro, i sussidi all’agricoltura, gli investimenti in nuove tecnologie e le tariffe comuni – dalla sua mancanza di una economia della conoscenza, dell’oblio di una delle molteplici radici su cui si è formata la sua cultura, della penuria dei grandi ideali di riconciliazione, di solidarietà, di comprensione reciproca che sono alla base dell’integrazione europea, mancanza che sta portando questa Europa al fascismo della violenza, all’autodistruzione, alla frammentazione dovuta agli egoismi”.
“Sei il solito inguaribile idealista. Non hai ancora imparato che dobbiamo negoziare tra interessi economici e le pretese di un’Europa come spazio dotato di significato morale, culturale e spirituale? Non essere così pessimista. Siamo, forse, all’alba di nuovi giorni…” – mi risponde l’amico.
Resto ancora in silenzio e arricchisco i miei pensieri con quanto ha detto in proposito papa Francesco nei giorni scorsi a Cipro, a Atene e a Lesbo.
Il viaggio apostolico aveva due scopi: rilanciare il dialogo ecumenico fra chiese sorelle e richiamare l’Europa all’unità di una vita, di un’azione, di un lavoro spirituale capaci di combattere il suo maggior pericolo: la stanchezza.
Penso agli incontri con le massime autorità della chiesa ortodossa: papa Francesco ha chiesto perdono a Dio e ai fratelli per gli errori commessi da tanti cattolici e ha invitato la minoranza cattolica a coltivare la “mistica” della fraternità, attraverso la collaborazione con i fratelli ortodossi da avvalorare anche nello spazio pubblico con l’accoglienza ai migranti e la custodia del creato. Davanti ad un’Europa che rifiuta di ammettere, di analizzare, per non dire di rinnegare, il multiforme e complesso ruolo del cristianesimo, i credenti in Cristo di tutte le confessioni sono designati a praticare l’unità nella carità, segno della fraternità universale – ha ricordato papa Francesco.
Ad Atene, il Papa prendendo spunto da Aristotele, da Pericle, da Gregorio da Nazianzo, ha elogiato la democrazia con i suoi corollari di giustizia sociale e libertà, ha denunciato l’imbarbarimento dell’Europa lacerata dai nazionalismi sciovinisti, bloccata dai veti contrapposti, scoordinata negli interventi, anestetizzata dal consumismo; ha richiamato l’urgenza di fornire nuova linfa alle sue radici sotterranee, ma non morte, in grado ancor oggi di far germogliare perenni valori; ha invocato la necessità di aprirsi ai popoli e alle altrui culture e invitato gli europei a non “parteggiare”, ma a partecipare in politica.
A Lesbo, in mezzo ai rifugiati che hanno percorso il “calvario doloroso” e sono stati trattati come schiavi in lager, Papa Francesco ha completato le sue parole pronunciate ad Atene. Davanti alla tentazione di erigere muri, di circondare confini con il filo spinato, al “freddo cimitero senza lapidi” che è diventato il Mediterraneo, allo “sciabordio dell’indifferenza” di molti paesi ha invitato i governanti ad avere una visione comune sui migranti che vanno accolti, protetti, promossi e integrati nel pieno rispetto dei loro diritti umani e della loro dignità.
Mentre l’auto scorre veloce sull’autostrada, mi appare il profilo dei monti a me cari. Mi sovvengono parole pronunciate in altre occasioni da Papa Francesco: “Che ti è successo, Europa? Dove sei, Europa?” No, l’Europa non è morta, agonizza. Sta intuendo il collasso sotto il peso paradossale dei propri trionfi e dell’insuperata ricchezza e complessità della propria storia. Dopo due guerre mondiali – tutte europee – i paesi feriti si abbracciarono per non continuare a mordersi. Oggi, davanti all’egoismo delle nazioni, che si riuniscono per prendere ognuna la propria quota di contributi, ma non di profughi, osiamo dire: “Un’altra Europa è possibile”. Lo diceva anche l’amico a cui oggi ho recato l’ultimo saluto.
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