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Cultura

SONATA 106

LIVIO GHIRINGHELLI - 10/12/2021

sonataLa Sonata in Si bemolle maggiore Hammerklavier op. 106 di Beethoven, abbozzata nel 1817, composta nel giugno del 1819 a Mödling (piccolo villaggio a pochi chilometri da Vienna e prediletto luogo di villeggiatura) e rifinita nel1819, risulta immensa nelle sue proporzioni e nella durata, per contenuto musicale e difficoltà di esecuzione. Fu dedicata all’Arciduca Rodolfo, il più fedele tra i suoi allievi e mecenati. Era l’epoca della controversia estenuante concernente la tutela del nipote Karl.

Insolitamente l’indicazione non è espressa in italiano o in francese, bensì in tedesco. Mostruosa nel caso è la volontà dell’autore di superare le potenzialità di uno strumento oggettivamente ancora limitato. Si tratta di un monumento che disarma, incanta e intimorisce al contempo per la sua profondità. Questo il commento di Beethoven: «Ecco una sonata che darà filo da torcere ai pianisti, quando la eseguiranno fra cinquant’anni». Finché l’autore fu in vita, non fu né amata, né capita, né eseguita, in ragione delle difficoltà tecniche, interpretative, psicologiche, pur rispettando comunque i principi formali della sonata classica.

Quattro movimenti la compongono con Fuga finale. Sono però sconvolte le proporzioni come le interrelazioni. È una specie di tentativo-sfida. Da notare i salti di terza che determinano la successione delle varie tonalità nelle sezioni dell’Allegro iniziale e del Finale, opposizione di due note, il Si bemolle e il Si naturale. Così è dell’impiego determinato e costante delle terze discendenti fra loro concatenate. Sul finire del marzo 1819 Beethoven rilasciò a Ries l’autorizzazione a scegliere fra le varie opzioni, che prevedevano tutte la soppressione di uno dei movimenti o una loro differente disposizione. Ineguagliabili la lucidità, la profondità e la concentrazione che si ravvisano nel testo. Sconvolgente l’intensificazione dei contrasti.

L’Allegro è impetuoso ed eroico, granitico, dibattuto nelle zone estreme della tastiera; lo Scherzo vertiginoso, il Trio singolarmente conciso e finisce frantumandosi. L’Adagio è appassionato, vibrante di sentimenti, scisso tra la seduzione di una melodia cristallina e innocente e l’attrattiva del delirio sperimentale. Ultimo movimento il Largo, che procede con fare rapsodico (sono eliminate le stanghette tra le battute), poi ciclopica Fuga a tre voci a coronamento polifonico: sei parti fra loro concatenate, soggetto e controsoggetto si scompongono e le varie combinazioni danno vita ad una delle più prodigiose invenzioni della mente umana. La quinta parte in tre sezioni (novazione, doppio fugato, stretta) fa apparire un nuovo controsoggetto (per Busoni una fughetta nella Fuga),

La scoperta della Sonata assai tardi fu di Clara Schumann in Germania, altresì del grande Liszt. Spicca per perfezione tecnica e stile severo. Per Wagner tutto vi è idealizzato, pura trasfigurazione. Per Lenz l’Adagio è il mausoleo della sofferenza collettiva del mondo. Per Carli Ballola l’autogenerazione avviene attraverso un inesauribile pullulare di eventi sonori, è il perpetuo trasfigurarsi di una sola immagine musicale. Per lui la Fuga è il momento cruciale di una crisi contrappuntistica inquadrata in una radicale rivoluzione di linguaggio.

Curiosità: all’epoca della sonata 106 Beethoven riceve il grande pianoforte Broadwood, dalla sonorità ancora più potente. È qui assente il grave conflitto che altrove ancora si sviluppa tra pensiero e mezzo sonoro.

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