Se i giovani potessero esprimere tutto quello che possiedono, farebbero la ricchezza di se stessi e quella della società in cui vivono. Il vero problema degli esseri umani è che non fanno tutto quello che è necessario per essere un pochino più felici, per poter far lievitare quel livello di autostima che è la bacchetta magica dell’esistenza.
Nella maggior parte dei casi i nostri ragazzi tirano a campare, fanno le cose tanto per farle o per soddisfare l’imperativo categorico del momento. Così facendo non trovano soddisfazione, vivono in sacche di frustrazione e di depressione, i veri antidoti della buona riuscita nella vita. Il miracolo dell’educatore deve essere quello di far prendere coscienza della grande energia positiva che ogni uomo e ogni donna portano dentro di sé, energia che ha bisogno di diventare strumento non solo fisico, ma soprattutto mentale.
Che tra il corpo e la mente ci sia una diretta e coinvolgente attrazione è risaputo, è risaputo al punto che ancora oggi si ricorre alla massima latina: mens sana in corpore sano, per sottolineare lo stretto rapporto che intercorre tra queste due parti fondamentali di cui si compone la nostra esistenza. L’insegnamento diventa veramente autorevole quando è capace di risvegliare quella parte inconscia che preferisce dormire sonni tranquilli per evitare di pensare, di compiere difficili e complicati percorsi di messa in luce.
Nell’immobilismo si dissolve la voglia di crescere, di mettere a fuoco le capacità, la genialità, la creatività, si consuma la parte migliore dell’essere umano, quella che gli permette di dimostrare chi è e di che cosa è capace. Purtroppo non tutte le famiglie sono in grado di guidare la maturazione dei propri figli, non sempre possiedono quell’intuito cognitivo e formativo che, di solito, è tipico di chi possiede un buon livello di cultura anche critica, e sono quindi costrette a delegare, con la speranza che chi esercita questo compito ne sia all’altezza.
In questi anni di crisi esistenziale generale la nostra gioventù ha toccato con mano il miracolo telematico, quello digitale, il mondo della bioetica, quello delle grandi trasformazioni etniche, ma ha perso di vista il tema della relazione, il confronto generazionale, probabilmente non ha avuto interlocutori adeguati. Il mondo adulto ha vissuto per conto suo, inseguendo i suoi miti e i suoi sogni, dai quali ha quasi letteralmente cancellato la parte più debole della società, quella più giovane, in grado di creare fastidi.
Così i ragazzi hanno imparato a parlare sempre di meno, affidando il loro patrimonio lessicale, linguistico, ideale e contenutistico ai telefonini, ai computer, a sistemi linguistici di dubbio valore educativo, ad atti e azioni che contrastano con l’energia positiva di cui la gioventù è portatrice. Hanno perso il contatto con la “confessione” come possibilità offerta di creare un confronto sinergico con quel mondo adulto che li ha molto spesso abbandonati al proprio destino.
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