Un indizio non fa una prova, ma è certo, visto il numero di negozi di ottica che affollano ogni città, che alle spalle vi sia un mercato redditizio.
Se lo è dal punto di vista commerciale, lo lascio giudicare da esperti di marketing ed economia; io, invece, mi dedico alla parte dei potenziali fruitori dal punto di vista medico.
Inizio come sempre dai numeri che hanno in campo sanitario un valore assoluto per capire tanti problemi, citando quelli dell’ultimo piano nazionale dei deficit visivi (2018). In Italia sono circa 4,5 milioni le persone che soffrono di ipovisione, secondo i dati dell’Unione Europea le gravi limitazioni colpiscono il 2,1% della popolazione dai 15 anni in su, che diventa il 5,6 per gli over 65 e l’8,7 per gli over 75.
Cifre italiane ed europee non sono fra loro discordanti mentre a livello mondiale le principali cause di deficit visivo sono gli errori di refrazione non corretti (53%), cataratta non operata (25%) e, a seguire con percentuali più basse, degenerazione maculare legata all’età, glaucoma e retinopatia diabetica.
La principale causa dell’aumento del numero dei soggetti affetti da ipovisione è il progressivo aumento di speranza di vita con il conseguente aumento di tutte le malattie oculari legate all’invecchiamento.
Inoltre il miglioramento scientifico e tecnologico ha portato ad una relativa diminuzione dei casi di cecità ed incremento relativo di soggetti con residuo visivo parziale.
La risposta a questi numeri dell’OMS nel piano globale 2014/2019 è stata la prevenzione della disabilità visiva che parte da uno screening oftalmologico fatto di due momenti: quello alla nascita e quello a tre anni.
In realtà il monitoraggio del Ministero ha però messo in evidenza come non vi sia una omogeneità nazionale in termini di strutture ed attività svolte in questo ambito (alcune Regioni non hanno nemmeno rendicontato l’attività).
La disparità regionale è infatti il primo elemento che emerge vistosamente: in Lombardia e Sicilia, per esempio, hanno favorito la distribuzione capillare dei centri di prevenzione, mentre altre come Emilia e Toscana hanno cercato di centralizzarli (la Calabria uno solo in un territorio piuttosto vasto) per favorire probabilmente una maggior specializzazione, forse trascurando che – poiché le patologie interessano soprattutto fasce di età avanzate – la continuità assistenziale sul territorio assume grande importanza.
Nelle linee guida internazionali l’ideale sarebbe una organizzazione a tre livelli: il primo con funzione di screening, classificazione e prima assistenza, il secondo per follow up riabilitativo vero e proprio (anche multidisciplinare), il terzo con attività di ricerca, formazione e raccolta dati.
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