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PIÙ COESIONE

MARCO ZACCHERA - 10/12/2021

quirinaleDa tempo si parla di passare ad una elezione diretta del Capo dello stato ma nel frattempo sono passati decenni, nulla è cambiato sotto il cielo del Quirinale e l’inquilino di quella che fu la residenza del Papa e dei Re d’Italia continua ad essere eletto dal circolo ristretto dei “grandi elettori” con il popolo italiano tenuto accuratamente fuori dalla porta al momento di prendere ogni decisione.

Mentre si avvicina la scadenza anche per Mattarella ecco che – puntuale come l’arrivo dell’inverno – da settimane (o già sono passati mesi?) si intrecciano pronostici e commenti sul toto-Quirinale, complicati questa volta dall’ingombrante presenza sul mercato politico-finanziario di Mario Draghi, uno che sarebbe un candidato “doc” e più o meno appoggiato da tutti, ma che – abbandonando Palazzo Chigi – rischia di lasciare un vuoto incolmabile.

Grande incertezza, quindi, e consueti maneggi di palazzo con rischi di crisi di governo, minacce, aperture, veti, sussurri e grida.

Eppure ci sarebbe da riflettere: proprio l’attività di Draghi come premier sottolinea che quando una persona è di valore sa fare argine con la propria autorevolezza l’orgia arrembante di partiti e partitini che banchettano sulle briciole del potere. Ancora più autorevolezza avrebbe il premier-presidente se fosse legittimato dalla volontà popolare.

Questo vale per il governo, ma ancora di più potrebbe valere infatti per la Presidenza della repubblica, eppure l’elezione diretta del Capo dello Stato in Italia è da sempre un tabù, quasi come l’energia nucleare: non se ne deve parlare “a prescindere”.

Da decenni il parlamento si dimostra incapace di portare avanti il progetto (o non lo vuole proprio appoggiare) di una revisione costituzionale in senso presidenzialista e non c’è neppure la possibilità di mettere sul tappeto pregi e difetti delle alternative a un parlamentarismo in fase calante.

Se questo sistema poteva infatti essere credibile nel 1948 – quando il timore generale era un possibile ripetersi della dittatura – il concetto del parlamentarismo perfetto è oggi del tutto superato, soprattutto perché ha dimostrato “a posteriori” molti difetti nella gestione della cosa pubblica che non potevano essere considerati nelle volontà dei Padri Costituenti, ma soprattutto perché c’è oggi una ben maggiore consapevolezza da parte dei cittadini stufi di “delegare” e pronti ad assumersi le proprie responsabilità, senza dimenticare che il Presidente avrebbe il dovere di rispondere in proprio a chi lo ha voluto ed eletto.

All’attuale impalcatura costituzionale del parlamentarismo ad oltranza si sommano poi anche le incrostazioni che in oltre 70 anni si sono man mano moltiplicate portando fuori dal parlamento il “vero” potere decisionale. Ancor di più ciò avviene da quando i diversi sistemi elettorali hanno sostituito il concetto di merito con quello delle liste a scatola chiusa, dove capi e capetti impongono i loro yesman e ti saluto democrazia.

Mai come ora una elezione diretta dell’inquilino del Quirinale permetterebbe quindi al Paese di sentirsi più unito, rappresentato, coeso.

Tra l’altro l’elezione diretta a uno o a due turni (meglio il sistema con ballottaggio) darebbe al Presidente non solo una chiara investitura popolare, ma anche sarebbe garanzia della sua autorevolezza e quindi dell’autonomia che potrebbe e dovrebbe vantare proprio nei confronti dei partiti politici di cui oggi è invece spesso un ostaggio, proprio perché solo grazie a loro è stato eletto.

Bisognerebbe anche riflettere che – mentre la legge elettorale per il parlamento è in affanno e se ne chiedono continui cambiamenti – una sola riforma elettorale ha attecchito e dato frutto in Italia negli ultimi 30 anni, ovvero l’elezione diretta del sindaco.

Una scelta decisa in poche settimane da un mondo politico in agonia nel 1993 sull’onda di “mani pulite” e di una morente “prima repubblica”, ma che si è dimostrata formula vincente e che quindi dovrebbe essere significativamente allargata.

L’Italia democratica ha compiuto 75 anni, gli italiani non sono più quelli del 1948 e sono stufi di “delegare” soprattutto quando in loro nome si organizzano pateracchi e si combinano pasticci.

Se la sinistra langue, che almeno il centro-destra prenda in mano con forza questa tematica che forse potrebbe trovare ampi consensi in ogni settore politico, ma soprattutto nell’opinione pubblica.

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