Se un nuovo Dante volesse aggiornare il Paradiso, potrebbe ripensare a un elogio simile a quello che un domenicano fece a san Francesco e un francescano a san Domenico. I due nuovi protagonisti sarebbero padre David Maria Turoldo, membro dell’ordine dei servi di Maria e padre Roberto Busa, gesuita. Ma lasciando da parte l’ipotesi immaginaria, bisogna ammettere che padre Busa e padre Turoldo sono, pur nella loro profonda diversità di vita e di impegno, due testimoni di un valore che pare ultimamente scarseggiare: il coraggio della speranza.
Quasi coetanei, Padre Turoldo del 1916, padre Busa del 1913, entrambi nati a novembre, rispettivamente il 22 e il 28, hanno vissuto non solo con intensità e con fedele coerenza la loro vocazione religiosa, ma anche con una presenza attiva nella cultura e nella società. In tempo di avvento è quasi inevitabile far vibrare dentro di noi le parole della Ballata della speranza di Turoldo: «Tempo del primo avvento, tempo del secondo avvento, sempre tempo di avvento…Anche il grano attende, anche l’albero attende, attendono anche le pietre…».
È la speranza, fiduciosa attesa del futuro, come ben sa il cristiano, memore anche delle riflessioni di San Tommaso d’Aquino. Ma ora noi, molto più modestamente e laicamente, speriamo che il ribelle padre Turoldo, coscienza inquieta della Chiesa, ci perdoni se portiamo la nostra attenzione su padre Busa, grande studioso della Summa di san Tommaso e compagno di classe e amico di Albino Luciani. Lo facciamo per ricordare quanto il suo impegno, quasi cocciutaggine, apparentemente in contrasto con la sua bonomia veneta, abbia trasformato la speranza in un progetto. Un grande progetto di cui tutti e non solo gli studiosi di San Tommaso siamo debitori. Dovremmo elogiarlo ora, su questa terra, a distanza di dieci anni dalla sua morte, avvenuta a Gallarate, sua città di adozione. Con queste parole il Vaticano annunciò la sua scomparsa: a novantotto anni, «é morto padre Roberto Busa, gesuita, pioniere dell’informatica linguistica, inventore dell’Index Thomisticus, anticipatore dell’ipertesto».
Anche se l’Università Cattolica ad agosto, durante la quindicesima edizione del congresso internazionale ICHoLS (International Conference on the History of the Language Sciences), organizzato per la prima volta in Italia, gli ha reso omaggio e la stampa locale lo ha episodicamente ricordato, padre Busa meriterebbe una conoscenza più diffusa e approfondita. Ben ha fatto VareseNews a intitolare un articolo: “Da San Tommaso a Google: padre Busa, il gesuita di Gallarate che insegnò ai computer a leggere” e a descriverlo come “l’inventore” della linguistica computazionale “che oggi è in ogni momento dentro alle nostre vite”.
Padre Busa merita davvero di essere conosciuto, come persona e come pensatore, per il suo atteggiamento verso le difficoltà, per la capacità di superarle e per tutta la sua impresa. Dalla lunga collaborazione con l’Ibm è nato Index Thomisticus. Sono cinquantasei volumi, frutto di 18 milioni di ore di lavoro, necessarie per riportare i nove milioni di parole usate dall’Aquinate. Tale impresa titanica rappresenta l’origine riconosciuta della linguistica computazionale. Insomma quello studio e ricerca che hanno portato a fondere studi umanistici e informatica. E a buon diritto possiamo parlare di intelligenza artificiale.
Ancora una volta ricordare uomini come padre Busa, sepolto a Crenna, e la sua speranza visionaria, significa riflettere non solo sul dovere della memoria ma sulla responsabilità della memoria. Padre Busa era consapevole che avrebbe lasciato in sospeso la ricerca iniziata ma ebbe fino all’ultimo la speranza che qualcuno avrebbe preso il testimone… La speranza non va mai disgiunta dalla responsabilità: una grande lezione.
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