Non saprei dire, sul filo della memoria, quale fosse l’anno esatto. Senz’altro uno dei primi anni ’70, quando arrivai nella città che ancora mi ospita. Ero stato invitato a partecipare ad un incontro fra cristiani. Si conversava su come fosse necessario incidere maggiormente sulla presenza “cattolica” nella vita della città. La discussione si era fatta aspra, tra la resa con alzatine di spalle di chi si richiamava al dialogo tra fedeli e pastori, tra Chiesa e mondo nuovo che stava avanzando, e chi proclamava, spesso con parole stizzite, il bisogno di creare strutture nuove, aprire centri di cultura cattolica, entrare in politica. La discussione si faceva sempre più ispida, fino a che un autorevole esponente “dell’intelligenza cattolica” si alzò e con voce forte e chiara zittì tutti dicendo: «Basta! È ora di finirla! Andando avanti di questo passo non riusciremo neppure a fare Pasqua tutti assieme!».
Mi sono sovvenuto di questo episodio ascoltando la relazione del cardinal Bassetti alla conferenza plenaria straordinaria dei nostri vescovi e alla conferenza stampa che ha chiuso i lavori. Contemporaneamente, ho ricordato un articolo di un teologo che, ad un anno dalla chiusura del Vaticano II, non intravvedeva la possibilità di un accrescimento della vita ecclesiale a causa sia di un distacco dalla Chiesa da parte di molti cristiani cosiddetti “tradizionalisti”, che – non trovando nella Chiesa una maggiore fedeltà al Vangelo e un fruttuoso dialogo tra fedeli e pastori – si sarebbero da essa distaccati andandosene per proprio conto.
Sono passati quasi cinquant’anni d’allora: i Papi hanno scritto illuminate encicliche sulla comunione ecclesiale, ci sono stati sinodi, convegni ecclesiali, eppure oggi componenti della Chiesa si contrappongono ancora creando sconcerto e tristezza. Tra il popolo di Dio si è generato un senso di disagio, se non di confusione, accresciuti dall’individualismo provocato dalla pandemia che ha svuotato le nostre chiese.
Papa Francesco ha invitato tutta la Chiesa a camminare assieme per dirimere non solo le opposizioni e i conflitti interni, ma soprattutto per agire – pastori e fedeli – «mai senza l’altro, mai contro l’altro, mai al di sopra dell’altro, mai all’insaputa dell’altro». I nostri vescovi ci invitano ad “uscire” dalle sacrestie e dalle case parrocchiali per volgere lo sguardo verso l’oggi di Dio e la società, sguardo che si riflette sulla Chiesa, non per un istinto di auto-conservazione, ma per incontrare ogni uomo e donna, come faceva Gesù che non puniva, ma andava incontro. Spesso nelle nostre comunità si è praticata l’esclusione, invece dell’accoglienza, il rifiuto, invece del dialogo e, nella storia, perfino la persecuzione, invece della comprensione.
Questo è cammino sinodale: prendere delle decisioni frutto del discernimento (“ciò che riguarda tutti deve essere discusso e approvato da tutti”), assieme agli altri (“cercare la verità nella dolcezza della compagnia” – Alberto Magno).
Nel dialogo all’interno della Chiesa, sinodalità fa rima con fraternità: ne hanno dato esempio tangibile i vescovi che, durante il loro soggiorno romano, hanno declinato l’invito di alloggiare in case e istituti religiosi, preferendo vivere tutti assieme nella stessa residenza per poter conoscersi meglio, intrecciare dialoghi, scambiarsi idee ed esperienze, pregare assieme. Sul loro esempio, mi sono chiesto, perché i preti delle nostre comunità non vivono assieme nella stessa casa, praticando la convivialità e combattendo così la solitudine?
Che cosa dovremmo aspettare dal Papa e dai nostri vescovi se non la fedeltà alle parole di Gesù? Dio è nascosto nelle persone, nelle situazioni, nella storia, soprattutto nell’umanità povera e inquieta. Non si vela, Dio abita e si trasfigura nell’assemblea domenicale, dove uno presiede, alcuni svolgono ministeri diversi e tutti sono l’unico soggetto dell’Eucarestia. Perché allora non rendere più partecipate, gioiose le nostre Messe, magari diminuendo il loro numero e curando meglio poche celebrazioni.
Le vocazioni sacerdotali diminuiscono sempre più. Perché non delegare molti compiti o ministeri che oggi competono ai sacerdoti e diaconi ai laici? Ad una condizione: che siano coscienti che il loro ruolo nella Chiesa non è quello di arrogarsi diritti, ma di praticare una spiritualità di comunione, che siano veri competenti nell’ufficio a loro affidato, che siano coerenti con ciò che fanno e annunciano. Per non impallidire con vaghezza il volto della Chiesa.
Sono tre proposte che affidiamo ai gruppi Barnaba.
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