Francamente, non credo sia più il momento d’indignarsi o provare una qualche forma di risentimento, quando si sente parlare di pandemia, come ne parlano i no vax, quando dicono quel che dicono. Ero indignato e risentito, qualche tempo fa, quando sentivo dire da una senatrice della Repubblica (addirittura, vice presidente del Senato) che non era il caso di preoccuparsi del Covid, perché secondo lei sarebbe stata una malattia come un’altra. Come la rosolia, la varicella, la scarlattina, malattie esantematiche che abbiamo avuto un po’ tutti quanti da bambini. Malattie che, dopo averle prese, si guarisce e ci si immunizza per tutta la vita. Per cui, tanto vale andare in cerca del contagio – sosteneva la senatrice – come usava fare da bambina, probabilmente consigliata da genitori e amici, e cercare d’immunizzarsi in questo modo, anche contro questo flagello del Covid che, solo in Italia, ha fatto decine di migliaia di morti, quanto una guerra. Ero indignato perché in quest’atteggiamento vedevo arroganza, mancanza di rispetto. Soprattutto per le vittime. Ma anche per collettività scientifica che ha studiato, con un’abnegazione fuori dal comune, le soluzioni migliori per uscirne e qualcuno (parecchi!) ci hanno pure lasciato la pelle per aiutare chi è stato colpito dal morbo.
Ero indignato anche con chi urlava ai quattro venti di riaprire esercizi commerciali, cinema, musei, palestre, ecc. non appena era sembrato che la pandemia avesse rallentato un po’, senza tener conto di quello che diceva la scienza, che predicava prudenza, attenzione, senso della misura. Ricordando che fenomeni del genere, per certi versi del tutto sconosciuti, vanno contenuti attraverso protocolli rigorosi che non hanno nulla a che fare con i pesi e i contrappesi della politica. Con le mediazioni all’ultimo tuffo e i compromessi impossibili. Ero indignato a sentir parlare dell’inutilità dei vaccini, dopo lo sforzo che era stato fatto per trovare soluzioni concrete e in tempi brevissimi, con rischi assolutamente trascurabili per la collettività. Ero indignato nel sentire personalità della cultura, versate nelle più alte riflessioni filosofiche, sentir dire che le precauzioni prese, come il green pass, sarebbero una forma di dittatura sanitaria (la patente è dittatura sociale?).
Adesso, che siam di fronte al possibile disastro di una quarta, pericolosissima ondata pandemica, quelle posizioni all’improvviso appaiono completamente vuote, scialbe, evanescenti come una secchiata d’acqua su un muro sotto il sole. E finalmente appaiono a tutti per quel che sono e che son sempre state. Posizioni ideologiche, prive del benché minimo buon senso. Improntate su un’opposizione contro il sapere scientifico primitiva, istintuale e senza costrutto. Destinata suo malgrado, ogni qual volta che il sistema rappresentativo non riesce a creare un equilibrio tra le pulsioni, ad essere preda prelibata per i palati fini del populismo che fa leva – vedi un po’! – proprio sul risentimento e sfrutta le crisi drammatizzandole “Quella soprattutto economica, degli «sconfitti della globalizzazione», quella migratoria di chi sente la minaccia dello straniero, quella più chiaramente politica di chi […] si abbevera al verbo del leader lanciato nell’ultimo cinguettio contro tutti gli establishment e i poteri forti di questo mondo” (Baldini, 2021).
I cittadini di questo Paese hanno dimostrato ancora una volta di possedere del vero buon senso, perché si son vaccinati in massa (oltre l‘80%), non hanno ascoltato le sirene dell’irresponsabilità, nonostante il fatto che i partiti populisti (anche se per ora non c’è una definizione condivisa di quest’espressione) raccolgano oltre il 40% dei consensi (almeno sulla carta). La scienza, come ha detto giustamente il nostro Presidente della Repubblica, ha vinto 9:1. Per cui, adesso, il risentimento e l’indignazione fanno posto alla speranza e alla consapevolezza. Può darsi che da questo disastro si esca con un altro vaccino. Quello contro il populismo e le sue pericolosissime semplificazioni.
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