È un pezzo di storia del giornalismo varesino degli anni ‘70 e merita di essere ricordato e magari – perché no? – studiato dagli allievi che frequentano l’Istituto di scienze della comunicazione all’Università dell’Insubria. Il quotidiano IL GIORNALE fu in edicola dal primo dicembre del 1973 al 3 settembre 1977 provando a ritagliarsi uno spazio in una provincia tradizionalmente legata alla Prealpina, il giornale fondato nel 1888 da Giovanni Bagaini. Un obiettivo difficile, se non una “mission impossible”: chi ci ha provato anche in anni successivi (la Cronaca, la Provincia) ha dovuto alzare bandiera bianca. Ma i tempi sembravano maturi per riuscire nell’impresa.
Gli editori Sergio Violini e Ugo Parravicini ci credevano e IL GIORNALE provò ad aprire il dialogo a Varese su temi caldi come la Chiesa e l’essere cattolici in tempi di grandi scelte, promosse il dibattito non preconcetto sul tema dell’aborto, si chiese provocatoriamente che cosa fosse rimasto del fascismo nella società dell’epoca, monitorò attentamente le battaglie sindacali nelle fabbriche e cercò di interpretarne la spinta sociale, annusò l’aria che di lì a poco avrebbe portato a livello nazionale al compromesso storico, cioè il percorso di avvicinamento tra la DC e il Partito Comunista. E s’interrogò sulla città e sulla provincia in rapido cambiamento.
L’ambizioso compito fu affidato ad Ambrogio Lucioni, giornalista di lungo corso transfuga dalla redazione Esteri della Prealpina. Con lui Ottorino Monestier, grafico e art director del cumenda Angelo Rizzoli, “patron” del Milan e della Cineriz, che a Varese realizzò il primo “tabloid” d’Italia. Tra i collaboratori Carlo Alberto Lotti, restauratore col sigaro perennemente in bocca, editore, scrittore, giornalista dalla forte vena polemica e irruento protagonista della vita cittadina. Per il piccolo giornale che sfidava la corazzata dell’editoria varesina, Lotti inaugurò la rubrica “L’uomo dal fiore in bocca”, in cui scriveva d’arte sferzando le sovrintendenze e le amministrazioni pubbliche.
Il pavese Giulio Giuzzi guidava i ragazzi della cronaca (anni dopo sarebbe diventato il vicedirettore del Giorno). Per breve tempo Bruno Stella coordinò la redazione e in seguito avrebbe diretto la comunicazione stampa di prestigiosi marchi nazionali. Di cose luinesi scriveva il vulcanico Aldo Mongodi, ex staffetta partigiana che in tempo di guerra, con il fratello Zeffirino, aveva aiutato a espatriare in Svizzera ebrei in fuga, perseguitati per motivi razziali e politici, militari sbandati dopo l’8 settembre e giovani di leva renitenti ai bandi della RSI. Accanto a loro, come si diceva, una schiera di giovani destinati, negli anni a venire, a farsi onore anche in importanti fogli nazionali.
Il quotidiano si batté con orgoglio ma alla fine dovette cedere le armi e l’avventura si concluse con un crac finanziario che segnò drammaticamente le famiglie dei due editori. Diede però un’occasione a una nidiata di giornalisti che, a distanza di quasi mezzo secolo, “firmano” tutti insieme il libro che documenta un generoso tentativo di fare cultura a Varese. Il volume s’intitola IL GIORNALE – Varese 1973-1977 – Una voce alternativa (Macchione, pp. 350, € 30, prefazioni di Enzo R. Laforgia, Marco Giovannelli e Max Lodi). Curato da Sergio Redaelli e Dedo Rossi, racconta gli ideali e le motivazioni che animarono i due “editori coraggiosi” e la loro truppa, con quaranta contributi scritti e una solida documentazione fotografica.
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