Nella lingua greca questa beatitudine viene espressa con un verbo all’attivo: “si affliggono”; piangono, ma da dentro.
Si tratta di un dolore interiore che apre ad una rinnovata relazione con il Signore e con il prossimo.
Questo pianto, nelle Scritture, può essere per la morte o per la sofferenza di qualcuno.
Altro sono le lacrime per il (proprio) peccato, quando il cuore sanguina per il dolore di avere offeso Dio e gli altri.
Si tratta quindi di voler bene all’altro in maniera tale da vincolarci a lui o lei fino a condividere il suo dolore.
Purtroppo ci sono persone che restano distanti, a un passo indietro.
Si può amare in maniera fredda? per funzione o per dovere? No.
Ci sono afflitti da consolare, ma talora ci sono pure consolati che hanno un cuore di pietra e hanno disimparato a piangere.
Va pure risvegliato chi non sa commuoversi del dolore altrui.
C’è un altro significato della beatitudine: piangere per il peccato. C’è chi si adira perché ha sbagliato, ma questo è orgoglio.
E c’è chi piange per il male fatto, il bene omesso, il tradimento di Dio.
Questo è il pianto per non aver amato, che sgorga dall’avere a cuore la vita altrui.
Qui si piange perché non si corrisponde al Signore che ci vuole tanto bene,e ci rattrista il pensiero del bene non fatto.
Questo è il tema dei propri errori da affrontare, difficile ma vitale.
Pensiamo al pianto di san Pietro, che lo porterà a un amore nuovo e molto più vero: è un pianto che purifica, che rinnova.
Come sempre la vita cristiana ha nella misericordia la sua espressione migliore.
Saggio e beato è colui che accoglie il dolore legato all’amore, perché riceverà la consolazione dello Spirito Santo che è la tenerezza di Dio che perdona e corregge.
Dio sempre perdona: non dimentichiamoci di questo, anche i peccati più brutti. Il problema è in noi, che ci stanchiamo di chiedere perdono, chiudendoci in noi stessi. Ma Lui è lì per perdonare. (Papa Francesco)
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