Se uno dei nostri ragazzi vedesse su Instagram un paesaggio mozzafiato, lo commenterebbe con un verso di Leopardi? O non, invece, con un Wow!, magari già pronto tra i suggerimenti? Allora perché stupirsi se i maturandi hanno lanciato una petizione su Change.org, chiedendo – mentre scrivo sono già state superate le 42000 firme – che sia abolita la prova scritta di Italiano? Il principio ispiratore dello studente medio non è sempre stato quello del massimo rendimento col minimo sforzo?
Purtroppo, ciò a cui i ragazzi non pensano è che, molto spesso, col minimo sforzo non si ottiene il massimo rendimento, ma solo il massimo consentito da quel minimo sforzo. In genere, non granché.
Io un po’ li capisco: scrivere in Italiano è difficile, soprattutto oggi che la comunicazione si riduce ai messaggi WhatsApp o, nel migliore dei casi, alle e-mail. La mia generazione era avvantaggiata: potevamo comunicare con gli amici solo di persona o per telefono, ma se non volevamo che i genitori ascoltassero le nostre conversazioni telefoniche, non ci restavano che i “pizzini”, in realtà biglietti chilometrici a cui affidavamo le nostre esperienze, le nostre emozioni e i nostri sentimenti. Oltre ad essere un piacere era un bell’esercizio: scrivere aiuta a pensare, a chiarirsi le idee, ad organizzarle in modo logico, ad argomentare per renderle convincenti. Aiuta a crescere.
Questa volta gioca a favore della richiesta degli studenti il fatto che, in quasi due anni di didattica a distanza e, comunque, di un corso di studi irregolare, non hanno potuto esercitarsi a sufficienza, ma sulla necessità di prove scritte, in condizioni normali, non dovrebbero esserci dubbi, a mio parere. E mi riferisco in particolare allo scritto di Italiano, il più ostico. Mi ha fatto sorridere, nella loro lettera, la frase “troviamo ingiusto e infruttuoso andare a sostenere degli esami scritti in quanto pleonastici”. Pleonastici? Ho pensato che avessero appena imparato il significato del termine e me li sono immaginati, tutti soddisfatti della scelta: “ma sì, scriviamo pleonastici che fa scena!”. E se non avessero imparato a scrivere, avrebbero potuto far valere le loro esigenze?
Sostengono che non è necessario l’esame scritto: “… i professori curricolari nei cinque anni trascorsi, hanno avuto modo di saggiare le nostre capacità”. E già qui c’è un errore di punteggiatura che non depone a loro favore, ma non voglio fare la maestrina dalla penna rossa. Penso invece che lo stimolo che può dare la consapevolezza di dover sostenere un esame sia fondamentale per applicarsi e migliorare. E se anche per quest’anno scolastico può aver senso sospendere gli scritti, l’importante è che la decisione non diventi definitiva, come succede in Italia per tutto ciò che viene introdotto provvisoriamente.
Piuttosto suggerirei ai ragazzi di rivolgersi al Ministro perché si renda conto dei mille problemi – non è il caso, qui, di elencarli – che si devono affrontare ogni giorno nella scuola per conseguire risultati appena dignitosi. E perché capisca che solo dopo averli risolti si potrà chiedere agli studenti di svolgere prove scritte di Italiano complesse come quelle degli anni passati. Se i maturandi si smarriscono di fronte a certe richieste, è comprensibile che vogliano eliminare le difficoltà alla radice. Compito della scuola dovrebbe essere, invece, quello di metterli nelle condizioni di superarle.
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