Benedetta povertà. Così la evoca monsignor Erio Castellucci, vicepresidente della Cei per l’Italia settentrionale. Un pezzo di Paese che percorre di frequente: vede, parla, raccoglie testimonianze, distribuisce solidarietà. Purtroppo non trova mai sorprese: disagio, sofferenza, affanni. Risponde ai richiami d’aiuto, confortandoli, il generoso prodigarsi del volontariato che si muove a fari spenti e con servizievole luce. Servono rinforzi. Di qui l’insistito auspicio del presule verso la Chiesa: vendite e donazioni totali o parziali, riconversioni dove possibile, dismissioni. Riassumendo: non dimenticare i poveri. Le povertà.
Ecco Il baricentro attorno al quale ruotare. Lo indica il Papa, così vicino al popolo più sfortunato da indurre qualche “No pìetas” a muovergli l’accusa di comunista. Sciocchezze trascurabili, se non fosse che si ripetono, allignando in ambienti extra ed intra moenia vaticane. Curiosamente obiettano alla semplice doverosità dell’annunciare il Vangelo. Semper et nunc. Vale a dire: specialmente quando si vivono tempi più difficili del solito. Adesso, per esempio.
Castellucci è un possibile sostituto di Gualtiero Bassetti alla presidenza della Cei. L’assemblea decisiva per la successione (mandato quinquennale) si terrà nel maggio venturo, l’idea che emerge è privilegiare la scelta d’una figura dai tratti citati. Nell’epoca in cui bisogna dare e sostenere, aiutare e progredire, sembra opportuno un pilota della Chiesa italiana che garantisce esperienza in materia. Castellucci, ma non solo. Altri nomi circolano. Facciamone uno. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, in armonia di pensiero e lavoro con la Comunità di Sant’Egidio, un passato e un presente d’operosità in favore degli ultimi. Prete di strada, si diceva una volta e si può dire anche oggi. In possesso d’una speciale virtù aggiuntiva: la capacità politica. Il dono di saper trattare, mediare, armonizzare. Armonizzare, sì: istanze particolari allo scopo di raggiungere un obiettivo generale. Cioè il minimo benessere collettivo, la dignità dell’esistere.
Facciamo un secondo nome. Paolo Lojudice, anch’egli combattente sul campo della socialità. Ex vescovo ausiliare di Roma sud, parroco di Tor Bella Monaca e cardinale come Zuppi, dichiarò quando gli venne assegnata la porpora: “Papa Francesco non ti dà una medaglia, ma dice di continuare a sporcarti le mani come hai fatto. Come dovrai continuare a fare”. Lui continua, è una garanzia di sostegno alla marginalità che, afferma, non ha mai cercato. E però non ha mai evitato.
Qui sta il punto. Prender nota, denunciare, ammonire. Soprattutto fare. Curarsi di. Coinvolgere nella missione i tiepidi, oltre ai renitenti a compierla. Ispirato a tale missione -ovvero consolidando la linea bassettiana e traducendo in opere la volontà di Bergoglio- il futuro presidente della Cei uscirà da una rosa che comprende i tre appena indicati oltre a qualche possibile alternativa come Franco Giulio Brambilla, Domenico Pompili, Derio Olivero, Gian Carlo Perego. La questione non è di contrapporre una chiesa di sinistra a una chiesa di destra, al modo banale della dialettica politica. La questione è di stare in mezzo a chi se la passa male per capire come assisterlo bene. Tocca a personalità che han maturato conoscenza sul campo, vissuto realtà crude, tirato indietro le maniche color rubino o rosso.
You must be logged in to post a comment Login