Novembre, il mese dei morti che fa tanto riflettere sulla vita, è un mese speciale, anzi bellissimo se pensiamo agli scrittori nati in quello che era il nono mese dell’anno per gli antichi Romani. Ci scusiamo ovviamente con gli altri mesi, ma siamo sicuri che possono accettare la definizione. Tentiamo un elenco.
Incominciamo da Mario Rigon Stern, nato il 1 novembre, che quest’anno avrebbe compiuto cento anni. A seguire Vincenzo Cerani, Albert Camus, Ivan Turgenev, nato il 9 novembre come Imer Kertesz, premio Nobel per la letteratura nel 2002, Luigi Malerba, Robert Louis Stevenson, Jose Saramago, pure lui vincitore del Nobel, Carlo Emilia Gadda e Alberto Moravia. Un appello vertiginoso, un elenco decisamente incompleto che non può, però, dimenticare altri scrittori. Il 30 novembre – ad esempio – nacquero Mark Twain, Israel Joshua Singer e Maria Bellonci. In questo rapsodico indice di una immaginaria enciclopedia letteraria giganteggia – precisazione pleonastica – Fëdor Dostoevskij. Il grande indagatore degli abissi dell’animo umano, anche quello abitato da demoni, nacque l’11 novembre del 1821 a Mosca. Sarà per un facile gioco associativo ma la memoria ci porta ad una pagina de L’idiota.
“Alla fine di novembre, durante il disgelo, il treno della linea ferroviaria Pietroburgo-Varsavia si andava avvicinando a tutta velocità, verso le nove del mattino, a Pietroburgo. L’umidità e la nebbia erano tali che s’era fatto giorno a fatica; dai finestrini del vagone era difficile distinguere alcunché a dieci passi a destra e a sinistra. Fra i passeggeri c’era anche chi tornava dall’estero…”
A noi tocca tornare – senza mancare di rispetto allo scrittore russo di nascita ma universale perché con le sue pagine vorticose e complesse ci continua a insegnare anche la pietà verso gli umili e i derisi, ad altri pensieri letterar-novembrini. Precisamente ad un nebbioso e piovoso giovedì del 1926, a dispetto dell’estate di San Martino. Siamo a Milano, l’11 novembre, quando undici amici, o meglio secondo la loro stessa ammissione un gruppo eterogeneo composto da “due giornalisti, due pittori, un avvocato, un commediografo, tre letterati e un dandy”, in una apprezzata trattoria di via Bagutta decisero di dar vita ad un premio letterario. Nacque così – e ci piace immaginare il profumo di caldarroste e il tintinnare di bicchieri di buon vino rosso in quella allegra convivialità – il premio Bagutta, quello che è il più vecchio premio letterario italiano.
Non suo unico merito. Pur nato in epoca fascista non venne assegnato dal 1937 al 1946 perché non ci fossero rapporti con il potere. Sono stati premiati tanti nomi noti della storia letteraria italiana, quali, per fare qualche esempio, Mario Rigoni Stern, Italo Calvino, Piero Chiara e Vittorio Sereni, e altri condannati all’ingiusto e immotivato oblio. Chi legge ancora Ercole Patti, premiato per il venticinquesimo anniversario del Bagutta? È solo una coincidenza che un suo romanzo del 1967 si intitoli Un bellissimo novembre?
In quel romanzo, che non deve essere dimenticato, lo scrittore colse la tragica ambiguità del mese di novembre attraverso i turbamenti adolescenziali del protagonista. Detto per inciso varrebbe la pena di riscoprire Ercole Patti almeno come grande interprete dell’adolescenza.
Patti è stato definito maestro di stile, coraggioso nel mantenere, negli anni Sessanta caratterizzati da spietate sperimentazioni narrative, una sua coerenza di scrittura. Scrittura meticolosa, capace essere visiva e quasi tattile. Molti suoi romanzi sono ambientati nella sua amata città natale, Catania, che spesso diventa non solo sfondo delle vicende narrate ma quasi sensuale protagonista. Patti non fu solo scrittore che sapeva farsi leggere secondo un giudizio di un suo estimatore fuori dal comune, Eugenio Montale, ma anche fine intellettuale, amante della dolce vita romana e vitale nella nostalgia della sua Sicilia. E amò particolarmente l’autunno.
Arriva l’autunno – scrive in “Quartieri alti”, testo con cui coglie ironicamente e con tratti anche comici l’oziosità della media borghesia romana - Lo si avverte già nelle strade della città al mattino, lo si respira, lo si sente sugli occhi, nei capelli. Per ironia della sorte il catanese Ercole Patti, gran viaggiatore anche per la sua attività giornalistica, morì a novembre. Precisamente il 15 novembre, giorno in cui il protagonista di Un bellissimo novembre si suicidò. Chissà se esistono davvero le coincidenze?
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