Seduto vicino alla finestra, da cui entra una livida luce di una mattina di novembre, sfoglio il mio solito giornale. Il pallore del sole lombardo rende propizia la quiete. Sono solo, come ogni volta che sia necessario precisare adagio le notizie e riflettere su di esse per cercare la verità.
I no-pass green continuano a manifestare perché così possono odiare e il loro rancore fiorisce forse da una gelosia segreta; la corruzione di chi approfitta della legge per trarne diritti che non gli spettano viene una volta tanto smascherata (e questa è una buona notizia!), ma continua l’arroganza dell’immoralità che porta una giovane vita a togliersi la vita; la guerra interna all’Afghanistan è anch’essa frutto dello sfruttamento e della corruzione; al confine di un paese dell’UE con la Bielorussia s’innalzano barriere di filo spinato, mentre centinaia di profughi passano notti all’addiaccio accampati in tende improvvisate, cercando di riscaldarsi attorno a un focherello; continua la violenza sulle donne, che è manifestazione di debolezza, non di forza; la politica nostrana cincischia su questioni marginali, su banalità, mentre pochi saggi hanno il coraggio di guardare alla serietà, al rigore, all’autenticità dell’impegno politico; solo l’uomo vestito di bianco cerca di destare l’amore per i poveri, denunciando i crimini di una società opulenta, indifferente alle speranze degli scartati, degli emarginati…
Anche l’armonia della creazione è continuamente minacciata da fenomeni atmosferici spesso voluti dall’uomo: inondazioni, paurose frane, forti piogge accompagnate da violenti raffiche di vento che sradicano alberi, scoperchiano tetti, trasformano strade in tumultuosi torrenti.
La lettura del giornale mi rimanda al Vangelo di Luca letto domenica scorsa, prima di Avvento: quel capitolo porta scompiglio e paura. Mi ridesto e prendo coraggio. Quella descritta da Luca non è “la” fine, ma “il” fine della vita tutta protesa ad attendere il figlio dell’uomo venire su una nube: è attendere la sua venuta, come dico ad ogni Eucarestia, subito dopo che il pane è divenuto il Corpo di Cristo che riceverò assieme ai miei fratelli nella fede perché mi fortifichi nel travaglio della storia che sono chiamato a vivere in questa terra.
Che posso fare io, povero cristiano, per dare un senso alla vita di ogni giorno? Posso alienarmi dalla storia? No. Dovrei meditare sulla storia per conoscerla con spirito critico, per coglierne l’apporto di bene e di male, per acquisire una maggiore conoscenza del momento, abbandonando la passionalità e la partigianeria. Politica, economia, professione, scuola, sport, arte, mezzi di comunicazioni sono campi che esigono uomini e donne amati da Dio con una presenza coerente e una chiarezza di idee. All’immediato dovrei testimoniare l’eterno, all’edonismo l’onestà, alla volgarità una vita seria e serena perché è anche in queste realtà che Dio non si vede, ma si riconosce nei suoi seguaci che germinano vita buona. Il tempo che mi viene donato non va sprecato, ma messo a frutto al servizio degli altri per il bene di tutti.
Avvento vuol dire anche saper attendere. In un tempo in cui si smania, ci si agita, si recrimina, attendiamo il Signore che viene: non siamo noi che lo attendiamo, è Lui che attende noi celato magari dietro i lembi cadenti degli ultimi della terra.
“Risollevatevi e alzate il capo” è l’invito che il Signore ci ha rivolto attraverso Luca, domenica scorsa. Abbiamo bisogno tutti di guardare in Alto per attingere speranza in questi tristi giorni. Il futuro è tutto qui: un invito a rianimarci e ad incoraggiarci verso l’incontro definitivo.
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