È strano come alcune parole possano suscitare emozioni differenti, a volte anche contraddittorie, a seconda del significato che assumono e del contesto in cui sono inserite.
Ignoto. Se è sostantivo, ti conduce su sentieri misteriosi e affascinanti, ti fa intravvedere avventure terribili o entusiasmanti, ti spalanca mondi infinitamente grandi o infinitamente piccoli, in cui la mente si smarrisce e si esalta: il folle volo di Ulisse, le imprese spaziali, le scoperte della fisica moderna…Territori inesplorati ed attraenti per la sete di conoscenza che rende uomini i bruti.
Ma se diventa aggettivo e si affianca al sostantivo milite, riapre antiche ferite, scenari di guerra desolati e feroci, che si credevano lontani e invece si ripetono ancora oggi in ogni parte del mondo.
Le celebrazioni del centenario del Milite Ignoto mi hanno fatto rivivere le emozioni che mi avevano sopraffatto al sacrario di Redipuglia, la collina di pietra dove riposano quarantamila soldati che hanno conservato la loro identità e, in due tombe comuni, sessantamila Ignoti: la consapevolezza dell’enormità di quel massacro e una tristezza infinita al pensiero di quanti sono rimasti senza nome.
Dolorosa fu anche l’esperienza di Aquileia, quando, dopo la visita esaltante alla Basilica di S. Maria Assunta, ci recammo al cimitero dei Caduti, che si sviluppa dietro il campanile e attorno all’abside: un contrasto stridente tra la luminosa bellezza dei mosaici e l’assurdità della morte in guerra. Allora dovetti allontanarmi dal gruppo per non piangere davanti alla tomba di Maria Bergamas, la madre che scelse, tra undici senza nome, la bara di colui che sarebbe stato custodito al Vittoriale. Ora riposa lì, insieme agli altri dieci, ma mi è insopportabile il pensiero di ciò che deve aver vissuto nella scelta.
Per fortuna oggi, in un atteggiamento di pietà condivisa, si sono superate le polemiche degli scorsi anni tra le Sinistre, che vedevano nelle celebrazioni del Milite Ignoto un’esaltazione del militarismo, e le Destre che ne rivendicavano l’esclusiva. Nei riti in memoria e nei documentari, oggi si è messo l’accento sull’aspetto umano, sulla sofferenza che la guerra provoca e sulla speranza – utopia? – che venga esclusa definitivamente dalla storia futura degli uomini. Allora anche la tristezza che quell’aggettivo evoca e quel tanto di retorica che difficilmente si riesce ad evitare saranno serviti a qualcosa.
E, a proposito di retorica, vorrei segnalarvi qualcosa di completamente antiretorico: è un breve racconto di Roberto Piumini, scritto in un linguaggio semplice destinato ai bambini, ma, nella sua essenzialità, efficace soprattutto per gli adulti. Si intitola Il treno lento. Lo si trova su You Tube, con la voce narrante di Lella Costa e le illustrazioni di Paolo Cossi.
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