«Negli ultimi mesi, quasi con orrore, mi sono reso conto che non ricordo più il suono della mia voce. Sì, è vero, qua e là su Internet, o altrove, posso sempre ritrovare registrazioni dove ascolto me che parlo, vecchie interviste e cose così, ma non è la stessa cosa. Questo è l’ultimo “regalo” che mi ha fatto la Sla. Del quale, come si può immaginare, non ringrazio. Del resto mi ha tolto già praticamente tutto, non dovrebbe stupirmi più. Ma ogni tanto mi chiedo a che cosa toccherà la prossima volta».
Così, in una delle sue ultime puntate della rubrica “Slalom”, Salvatore Mazza, vaticanista di Avvenire, racconta il progredire della sua malattia. Classe 1955, nato a Napoli ma cresciuto prima a Genova e poi nella capitale, ha avvertito nel 2016 i primi sintomi della malattia, che in Italia ha una incidenza di 2-3 casi ogni 100mila persone e per cui non è stata ancora individuata una cura. Il 20 marzo 2017 i segnali non sono stati più equivocabili: «Ricordo perfettamente lo scambio di sguardi tra i medici dopo l’ultimo consulto – ha raccontato Mazza – Quel giorno le tre lettere che per tanto tempo avevo temuto sono diventate parte della mia vita».
“Slalom” è una rubrica che seguo sempre con attenzione e grande ammirazione per il coraggio e la testimonianza che esprime. Avevo conosciuto Salvatore in occasione di udienze o viaggi dei Pontefici che hanno attraversato la nostra carriera: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco. Qualche scambio di opinione, una richiesta di chiarimenti da lui, sempre ben informato ma lontano anni luce, per quel delirio di onnipotenza che contraddistingue, ahimè, la professione, dal solo sospetto che certi drammi potessero affacciarsi all’orizzonte delle nostre vite.
Sempre a letto e con un respiratore attaccato giorno e notte, operato lo scorso marzo di tracheostomia, Mazza continua a lavorare, animato dalla passione per il giornalismo che ha segnato tutta la sua vita. Grazie alla tecnologia scrive e pubblica sul quotidiano “Avvenire” due rubriche: una il sabato di commento alle catechesi di Papa Francesco (“Su questa pietra”) e appunto una il giovedì dove racconta la sua malattia (“Slalom”): «Una spinta enorme a resistere – ha spiegato a “Vatican News” la moglie Maria Cristina, che insieme alle figlie Giulia e Camilla lo assiste 24 ore su 24 – Sente l’affetto di chi lo legge, dei malati con cui è entrato in contatto grazie anche ai social. Caratterialmente non è una persona incline alla depressione, è estremamente centrato e lo è sempre stato. La malattia non lo ha cambiato». Maria Cristina descrive Salvatore come un uomo di fede, che ha continuato a fare quello che la malattia gli consente ma certo, come ha più volte sottolineato, lui non è la sua malattia, non è la Sla: «Resta l’uomo che ho sposato» conclude.
In un articolo, in occasione della Giornata Mondiale sulla Sla, Mazza confessa che gli viene «un po’ da piangere» perché, scrive, «ostaggi – noi e le nostre famiglie – di una burocrazia capace di essere assassina, tanto esasperante con le sue lentezze, i rinvii continui, i “vedremo” e i “provvederemo quanto prima”. Una burocrazia che non sa, o finge di non sapere, che noi malati di Sla non abbiamo tempo di aspettare, che la degenerazione di questa malattia è talmente rapida che tra una settimana quello che ti ho chiesto oggi potrebbe già non servirmi più».
Un articolo condiviso dall’ex Presidente dell’Associazione Aisla Onlus, riferimento per i malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica, Massimo Mauro: «Abbiamo imparato che aiutare le persone a lottare contro la Sla ci rende tutti liberi; ci rende consapevoli che la fragilità umana è una caratteristica della nostra vita. Allo stesso tempo possiamo affermare che ci sono eroi del quotidiano come Salvatore Mazza che diventano per le famiglie, i volontari e per i nostri scienziati energia pura».
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