Anche gli animali sono, per i frati francescani, e per RMFonline, “nostre sorelle” e “nostri fratelli,” come lo erano per il loro Santo protettore, Francesco, che chiamava il lupo: “fratello lupo”.
La cronaca come si sa è piena di stupendi racconti di animali, specie di cani, che smarriti in terre lontane sono tornati stanchi e macilenti, seguendo non si sa quali tracce ed annusando quali odori sino a casa dei padroni che pensavano di averli persi definitivamente e o di animali che si sono lasciati morire accanto al proprio padrone defunto. Però la cronaca non è molto ricca di racconti che hanno per protagonisti solo animali, che si occupano di altri animali.
L’aneddoto che voglio raccontare ha per protagonista la cagna riprodotta nell’immagine, che si lascia accarezzare dolcemente ed instancabilmente dalla mano di mia moglie.
Come si può vedere dalla foto si tratta di una cagna molto vecchia, un po’ spelacchiata, con il pelo sempre più bianco: purtroppo credo che non le sia rimasto ancora molto tempo da vivere.
Ha smesso da anni le sue funzioni sessuali riproduttive, ma assolve degnamente, anche se con una certa fatica a muoversi a causa dell’artrite galoppante, il suo ruolo di “cane da guardia” della casa colonica e della grande stalla vicina, di una famiglia contadina della Svizzera Orientale, non distante da San Gallo, dove abitano i nostri parenti. Questa cagna riconosce molto bene sia mia moglie che me, perché da quasi 14 anni amiamo passeggiare per quella bella e serena campagna. Eppure mentre noi arriviamo in prossimità della casa colonica, affidata alla sua sorveglianza, si avvicina abbaiandoci minacciosamente, per ricordare chi comanda in quella zona e poi si struscia e ci dà delle continue testate per essere accarezzata sino allo spasimo recandosi prima da mia moglie poi da me, senza fare parzialità.
Ai primi di marzo siamo tornati in Svizzera e mentre facevamo una delle solite passeggiate verso quella casa colonica, la contadina, proprietaria della cagna, volle salutare mia moglie e così ci siamo fermati a chiacchierare un po’ con lei. Le ho chiesto, mentre accarezzavo la cagna, della cucciolata di gattini neri che avevo notato gironzolare nell’aia, lo scorso Natale. E lei, vedendo che noi amavamo gli animali, abbiamo due gatte, ci ha raccontato la storia che ha, per molti che l’hanno ascoltata, dell’insolito e dell’incredibile, ma anche del meraviglioso.
“Vedete” ci disse “da una vita vivo in mezzo a mucche, vitelli, cavalli, pecore, eccetera ma quello che mi è capitato con questa cagna e la cucciolata di gattini, mi ha lasciata incredula e sconcertata. Vedete questa cagna com’è malandata; non so quando vivrà ancora. Questo inverno, quando la mia gatta nera ha partorito non ce la faceva ad allattare tutti e otto i suoi gattini e la cagna girava intorno e guaiva. E noi eravamo un po’ dispiaciuti, ma rassegnati perché chi vive con gli animali in campagna sa che queste cose possono accadere. Però vedevo che i gattini si stavano stranamente riprendendo nonostante la magrezza della mamma e crescevano bene. Pensavo che la mamma si fosse ripresa, ma la vedevo sempre più dimagrita e non sapevamo che fare. Un giorno entrando nella stalla, rimasi senza parole, non volevo credere ai miei occhi. La cagna, sdraiata accanto alla gatta, che si stava riposando, allattava i cuccioli. Finito il latte della “balia,” i gattini tornavano dalla mamma e facevano l’ultima “sorsata,” finché la cucciolata non si addormentava sazia e ristorata sulla gatta e sulla cagna esauste. Non ho mai capito dove avesse preso quel latte una cagna così malandata: ma una cosa per me era certa – concluse la contadina – si parla spesso di solidarietà umana, ma io che vivo in campagna tra le bestie, l’ho vista più spesso tra gli animali, che tra gli uomini”.
E a me sentendo quelle parole tornarono in mente alcune riflessioni del filosofo tedesco Schopenhauer, che non aveva molta considerazione e stima per gli uomini, mentre ne aveva molta di più per gli animali, tanto da invitare il suo barboncino nero ad uscire dal solito bar di Francoforte sul Meno apostrofandolo con un “He du, Mensch, gehn wir! (ehi tu, uomo, andiamo!)”e quelle dello scrittore e veterinario scozzese: James Alfred Wight (“Herriot”) “Se avere un’anima significa essere in grado di provare amore, fedeltà e gratitudine, allora gli animali sono migliori di tanti esseri umani”.
Poi la contadina prima di lasciarci ci disse: “Io sono cattolica praticante e penso che in tutta questa bella storia ci sia un grande disegno divino, che ci fa vivere in armonia con la natura e le creature grandi e piccole che ci circondano”.
E mentre rimuginavo tra me e me questa riflessione, la gatta nera, di nuovo incinta, andò a strusciarsi ad una zampa della cagna, poi si lasciò accarezzare dalla sua padrona, da mia moglie e infine si arrotolò sulle mie scarpe, facendo rumorosamente le fusa, quasi a volersi rassicurare e a dirci che in fondo “eravamo tutta una famiglia”.
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