Con una buona dose di cattivo gusto qualche giornale si è spinto a definirla “diplomazia dell’ostia” ponendo il quesito all’attenzione del mondo cattolico: è accettabile che si faccia un uso politico del tema della comunione? È giusto che il papa non condanni e che di fatto “aiuti” l’immagine pubblica del presidente Joe Biden “abortista”? E che sul fronte opposto i vescovi americani ultra-tradizionalisti vogliano negargli la comunione e utilizzino la questione per attaccare il suo governo? Problema delicato che ne sottende un altro: il presidente Usa si deve considerare un “buon cattolico” come egli stesso si è definito uscendo dall’incontro in Vaticano con Francesco?
Il tema dell’aborto è stato il convitato di pietra del colloquio fra i due leader. Piena sintonia su tutto, la difesa dell’ambiente in vista di Glasgow (Francesco ha esortato Biden a proseguire sulla linea del finanziamento di 100 miliardi di dollari da parte dei Paesi più ricchi a favore dei più poveri), l’assistenza ai migranti e ai rifugiati, il diritto al lavoro, la tutela delle libertà personali, religiosa e di coscienza, il sostegno alla vaccinazione anti-pandemia nel mondo in via di sviluppo (Francesco chiede che i grandi produttori di vaccini liberalizzino i brevetti), la convivenza planetaria (Biden ha definito Francesco “il più grande combattente per la pace”).
Silenzio sul tema dell’interruzione della gravidanza. Ma Biden è davvero abortista? Non proprio, non è abortista in senso stretto. Il presidente Usa difende una legge democraticamente approvata dal Parlamento degli Stati Uniti a prescindere dai suoi principi personali. È favorevole alla libertà di scelta e alle leggi che un capo di Stato deve per primo, doverosamente, rispettare. Ferma e nota è la posizione di Francesco. Il 15 settembre, di ritorno dal viaggio in Slovacchia, ha ripetuto ai giornalisti che l’aborto è un omicidio. Ma ha aggiunto di non aver mai rifiutato l’Eucaristia a chicchessia. Non vuole che la comunione diventi uno strumento di battaglia politica.
Negli Usa è in corso un’offensiva dei vescovi “ribelli” che soffiano sul fuoco. Francesco li ha invitati a non spingere la situazione fino alle estreme conseguenze per evitare divisioni e strumentalizzazioni: “I vescovi – ha detto – devono essere pastori, non politici”. E all’Angelus del 6 giugno ha ribadito che “l’eucaristia non è il premio dei santi ma il pane dei peccatori”. È il tipico approccio di Francesco: nessuno è perfetto, siamo tutti santi e peccatori e l’eucaristia è un simbolo di unità, non di divisione. Ma in novembre è atteso un documento della Conferenza episcopale Usa che potrebbe decidere di negare l’eucaristia a chi approva l’aborto.
Non si tratta della solita accusa che i nemici muovono al papa, quella di essere un “alleato di Lucifero”. No, qui non c’entra il monsignore varesino Carlo Maria Viganò, convinto no vax e seguace della teoria del complotto internazionale contro l’ignaro popolo dei fedeli. C’entra invece il cardinale ultra-conservatore Raymond Leo Burke che avanza un’accusa precisa. Burke avrebbe voluto che Francesco rimproverasse Biden in difesa della santità dell’eucaristia e che sanzionasse i politici che violano la morale cattolica. Invece i coniugi Biden hanno devotamente ricevuto la comunione durante la visita a Roma nella chiesa di San Patrizio. Quasi una provocazione.
È giusto ricordare che i politici che firmarono la legge 194 del 22 maggio 1978 sull’aborto erano cattolici, dal capo dello Stato Giovanni Leone al presidente del consiglio Giulio Andreotti, ai ministri Anselmi, Bonifacio, Morlino e Pandolfi. E dall’America si levano le voci in sintonia con l’apostolato “di strada” predicato dal pontefice argentino: “Francesco è pro vita e un convinto oppositore dell’aborto – ammonisce il teologo gesuita James Martin sulle pagine del Corriere della Sera – ma i vescovi americani pensano a una sola questione, all’aborto”. Tacciono, invece, di fronte alle esecuzioni capitali e a chi contesta il vaccino.
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