Serve a poco che la sondaggista Alessandra Ghisleri si affanni a spiegare che su quasi 50 milioni di elettori italiani il 4 ottobre ne fossero chiamati al voto solo 12 milioni, che abbia effettivamente votato sola la metà degli aventi diritto e che domenica scorsa ai seggi ne siano andati molti di meno, neanche il 5% del corpo elettorale.
La percezione (corretta) è che il PD abbia vinto e gli altri abbiano perso. Il centrodestra si è salvato a Trieste ma è crollato in tutti gli altri centri, come peraltro era prevedibile, salvo qualche caso davvero incredibile (come a Latina), con votanti scesi tra il 30 e il 40%.
Enrico Letta può quindi giustamente esultare, ma non solo per i risultati in sé quanto perché dalle urne esce la conferma che – se si andasse a votare con un centro-sinistra unito – il PD potrebbe vincere le prossime elezioni politiche e (dopo aver messo un suo uomo al Quirinale) potrebbe quindi blindare l’Italia per i prossimi cinque anni. Improvvisamente la possibilità di elezioni anticipate – prima fortemente sostenute a destra – sembrano convenire ora alla sinistra, anche perché gli avversari paiono KO con il rischio di ulteriori fratture nello stesso centro-destra dove, soprattutto, non emerge un leader capace di porsi come guida stabile della potenziale coalizione.
Le divisioni a destra non hanno pagato, nonostante i sondaggi, perché un conto è correre ciascuno per conto proprio inseguendo l’elettorato del vicino, un conto è convergere su un candidato unico a sindaco quando è percepito appartenere alla “concorrenza”. Fallite le giunte pentastellate, ecco ora i voti grillini rientrare a casa PD, partito comunque capace di mantenere più o meno i propri consensi. Quando alle urne non vanno poi soprattutto gli anticomunisti, la vittoria è assicurata.
Il voto amministrativo conferma anche come i rapporti PD-M5S siano potenzialmente in miglioramento sposando le posizioni di Conte, ormai specializzatosi nel ruolo di pontiere. E pensare che al centrodestra (ormai abbonato alle sconfitte ai ballottaggi, perché il proprio elettorato è storicamente poco propenso ad andare a votare al secondo turno) basterebbe un codicillo alla legge elettorale amministrativa per sparigliare: «Se al ballottaggio chi vince prende comunque meno voti di un altro candidato al primo turno, quest’ultimo, essendo stato il più votato, è allora eletto sindaco». Sembra una banalità, ma è un caso ormai diffuso che chi vince il primo tempo perde al secondo per un forte calo di elettori. In fondo sarebbe una più corretta forma di democrazia: si eviterebbero dispersioni di voti su candidature senza senso al primo turno, facendo in modo che i potenziali vincitori non ripudino le alleanze ai ballottaggi conquistando quindi da soli il premio di maggioranza, cui aggiungere altri seggi di liste apparentate solo informalmente ma con le quali ci sono già accordi di successive maggioranze allargate.
Si finisce presto nei tecnicismi elettorali, ma sono questioni importanti per elezioni comunali dove ormai vota meno del 40%, con il risultato di sindaci eletti con anche meno del 20% dei voti rispetto al corpo elettorale. Il centrodestra si ritrova intanto in un angolo da dove sarà ben difficile uscirne perché il problema è soprattutto Draghi. Ci fosse un leader del PD come premier sarebbe plausibile una rottura di governo, ma come mettersi contro il Mario Nazionale, interpretato dai più (e soprattutto dai media) come ancora di salvezza? Oltretutto, stando mezzi dentro e mezzi fuori il governo, è evidente che il messaggio all’elettorato di centrodestra diventi ancora più ambiguo e poco plausibile.
Ecco perché a Letta potrebbe convenire – a primavera – di tentare il colpaccio di andare subito a nuove elezioni, anche se contemporaneamente scenderebbero le possibilità di Draghi subito al Quirinale, perché verrebbe meno un punto di riferimento certo come premier. Fossi il leader del PD lavorerei quindi per una proroga di Mattarella per andare poi subito al voto con Draghi confermato premier, vincere, mettere un proprio uomo di fiducia al governo e poi cambiare l’inquilino sul Colle garantendo a Draghi la poltrona dorata. Possibile che i leader del PD non ci stiano pensando?
Di positivo a destra c’è solo che il rischio di perdere in futuro sembra aver convinto Meloni, Salvini e Berlusconi a rafforzare l’intesa e ad insistere per non cambiare il sistema elettorale: è poco, ma è già qualcosa.
You must be logged in to post a comment Login