“E tu, Chiesa, che cosa dici di te stessa? E tu, Chiesa, che cosa dici del mondo?”
Mi sono rammentato di questa espressione di Giovanni Battista Montini, allora arcivescovo di Milano, ascoltando l’omelia che papa Francesco ha tenuto domenica 10 ottobre in occasione dell’apertura del Sinodo.
“Un Sinodo sul Sinodo” potremmo definire quello iniziato con la solenne concelebrazione in San Pietro. Un Sinodo che non ha al suo centro un tema specifico – come quelli ultimi sulla famiglia (2016) o quello sui giovani (2018) o come quelli relativi all’evangelizzazione delle varie chiese locali – ma piuttosto quello di cercare di creare uno spirito sinodale permanente all’interno della Chiesa universale, attraverso un dialogo fra tutti i componenti della Chiesa – dai vescovi a tutti i battezzati – per poter entrare in dialogo con il mondo d’oggi e per affrontare le sfide dell’oggi di Dio, sotto la guida dello Spirito, ed essere così “solidali con le fatiche e i desideri dell’umanità”.
Nessuno si deve sentire escluso da questo cammino fatto assieme, in comunione fraterna fra le varie componenti ecclesiali, convertendo magari pregiudizi e prassi distorte che non sono evangeliche, in unione con tutti gli uomini – anche se “lontani” o “non pensanti”, ma solerti partecipi ai travagli della storia.
Più che un Sinodo, è un cammino che durerà tre anni, coinvolgerà tutte le chiese locali del pianeta. Papa Francesco ha indicato tre atteggiamenti da assumere: camminare tutti assieme per incontrarci, “non nell’organizzare eventi o nel fare una riflessione teorica”, ma “per rivolgersi al volto e alla parola dell’altro… per aiutarci affinché la diversità di carismi, vocazioni e ministeri ci arricchisca”. Il secondo atteggiamento è: ascoltare “le domande, gli affanni, le speranze di ogni Chiesa, di ogni popolo, di ogni nazione… del mondo, delle sfide e dei cambiamenti che ci mette davanti”. Il terzo atteggiamento è discernere, alla luce della Parola e della preghiera, le opportunità perché “il Sinodo non sia un convegno di studi o un congresso politico… un parlamento, ma un processo di guarigione condotto dallo Spirito”.
Il giorno precedente la solenne apertura, papa Francesco, parlando ai padri sinodali, aveva messo in guardia contro tre rischi: il formalismo che si riscontra in “qualche elitismo nell’ordine presbiterale” che fa del prete “il padrone della baracca” e non il pastore della chiesa a lui affidata; l’intellettualismo che diventa un “parlarci addosso” in modo autoreferenziale e che finisce nel “ricadere nelle solite sterili classificazioni ideologiche e partitiche staccandosi dalla realtà del Popolo santo di Dio”; l’immobilismo del ”si è sempre fatto così” e che porta ad adottare “soluzioni vecchie per problemi nuovi”.
Anche il nostro Arcivescovo, inaugurando domenica scorsa il cammino sinodale diocesano, ha invitato tutti noi ad abbandonare “la frenesia di costruire e l’entusiasmo di partecipare”, ad abbandonare “lo scoraggiamento e il pessimismo”, ma di assumere l’atteggiamento dell’apostolo Barnaba che, inviato da Gerusalemme ad Antiochia, esortava, incoraggiava, trovava le cose buone e anche il modo per custodirle. Partì alla volta di Tarso per cercare Saulo e lo condusse con sé ad Antiochia. Anche Paolo incontrò la chiesa di Corinto e ne vide lo splendore e le fragilità. Tutti e due andarono, incontrarono, videro dissidi, ma scorsero la Grazia di Dio ed esortarono tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore.
Anche per la Chiesa ambrosiana è tempo di Barnaba. Le donne e gli uomini che fanno parte dei Gruppi Barnaba ascolteranno “le cose buone” che si esperimentano nei nostri decanati. A ciascuno di essi è stato consegnato un quaderno con pagine bianche su cui annoteranno le esperienze che donne e uomini racconteranno loro. Che non diventi un “cahier des doléances”!
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