In quanto varesino in questo momento residente fuori città, dunque in grado di valutare la situazione con occhio esterno e in maniera più “fredda”, mi permetto di proporre qualche riflessione sul nuovo mandato di Davide Galimberti. Credo prima di tutto che il riconfermato sindaco debba avere la forza e il coraggio della discontinuità nella continuità. Ovvero, partire dai punti deboli e dagli errori del quinquennio scorso – che forse l’avrebbero messo maggiormente in difficoltà se l’altro schieramento avesse potuto contare sul tempo del quale l’allora candidato Bobo Maroni disponeva – per superarli e per dare una spinta profonda ai suoi progetti.
Galimberti aveva cominciato bene, ma ha proseguito in calando per una serie di ragioni: tra queste lo smarrimento d’una bussola sempre valida (traduzione: fare anche cose semplici, ma efficaci e soprattutto visibili dal cittadino), i battibecchi all’interno della maggioranza arcobaleno (che si ripresenta pure stavolta, anche se con identità diverse), la tendenza a concedersi a un decisionismo troppo accentrato sulla sua persona. Regola numero uno, allora: ascoltare la voce della città per poi approdare a una sintesi.
Il sindaco “della volta scorsa” ha procurato risorse per i grandi progetti, ma si è impantanato in una quotidianità deficitaria: sono mancati interventi basici e regolari, strade e marciapiedi sono stati lasciati andare alla deriva, la pulizia della città non è stata al centro dell’operatività (con metodo e organizzazione credo si possa raggiungere un obiettivo minimo, includendo nel conto la lotta ai graffiti gratuiti, che non sono “arte di strada”). “Ma Varese è brutta!…” Ho ancora nelle orecchie la frase di un’amica trasferitasi qui dal Bresciano. Non ho potuto darle torto: si era aggirata dalle parti di via Carcano (a proposito: la Vicom che ha comperato l’area ex Segheria Fidanza e dell’ex Traferri per quanto ancora lascerà quel buco che resta obbrobrioso nonostante l’utilità di un parcheggio?) e si era imbattuta nel sottopassaggio delle stazioni…
Ecco, bisogna riordinare ed eliminare i “non luoghi”, per non udire ancora certe parole, e bisogna farlo con un criterio omogeno. Più che a un intervento in sé, credo si debba ragionare per aree contigue. Non ci possono essere “anatre zoppe” a fianco di operazioni d’impatto (per dire: il rifacimento di via Del Cairo grazie all’avvento della Fondazione Morandini cozza, chissà per quanto ancora, con un contorno inadeguato), Varese nel suo rilancio estetico e d’immagine – che poi si traduce anche in una rinascita del commercio – ha bisogno di vasi comunicanti e non di singole eccellenze.
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