La primavera porta con sé per gli appassionati di ciclismo uno degli avvenimenti più importanti che si rinnova da oltre un secolo: il Giro d’Italia. Una corsa che negli anni, possiamo ben dire, ha contribuito ad unificare il nostro Paese forse più delle celebrazioni del centocinquantenario al quale pure era stata dedicata l’edizione del 2011. Merito dei corridori, delle loro leggendarie gesta atletiche, dei duri impegni agonistici che hanno sempre sollevato simpatia ed affetto tra le folle ma grazie anche a tutto il potere espresso dalle parole e dalle immagini trasmesse prima solo dalla stampa, poi dalla radio e infine dalla televisione. Una passione collettiva, emozioni suscitate tra le genti pure non toccate direttamente dall’avvenimento, da un arrivo di tappa o da un rapido passaggio. Persone soltanto mosse dalla stima e dall’affetto verso il loro campione. Mosse dalla competizione tra i migliori, dai dualismi di ogni epoca, Ganna-Galetti, Girardengo-Binda, Binda- Guerra, Coppi- Bartali, Moser e Saronni… per rimanere alle epoche meno vicine a noi .
Ogni tempo ha avuto i suoi antagonismi, inutile ricordare oggi i più recenti ai giovani. Ogni giornale sportivo e non ha mai mancato di inviare al seguito del Giro le sue migliori penne ad iniziare spesso dal direttore. Giornalisti, tecnici di ciclismo ma anche scrittori e poeti sublimi “cantori” delle gesta atletiche e dei luoghi attraversati dalla corsa. La storia, l’ambiente, i panorami “indescrivibili” che le migliori penne riuscivano comunque a descrivere. Così milioni di persone hanno seguito il Giro per decenni, si sono appassionate, si sono litigate nei bar e nei circoli operai, dopo avere letto gli ordini d’arrivo, le classifiche, ma sopratutto le cronache dei Vergani, Roghi, Casalbore, Brera, Veratti, Ambrosini. La radio fece il resto ed i più attempati di noi hanno ancora nelle orecchie (e molti anche nel cuore…) l’urlo emozionante di Mario Ferretti : “…un uomo solo al comando… ha la maglia bianco-celeste…il suo nome è Fausto Coppi!”.
Oggi la televisione porta quasi nella corsa, ce la fa seguire momento per momento, ci mostra il sudore, l’estremo sforzo vincente del campione o la sua sconfitta arrancante in fondo al gruppo. Dal punto di vista tecnico e spettacolare, quanto di meglio per chi segue questo sport. Niente tuttavia al confronto con le emozioni che si provavano con l’incontro diretto dei protagonisti quando si avvicinavano in pelle ed ossa nelle sedi di tappa oppure se visti per solo qualche attimo nel punto più duro e difficile del percorso. Varese ed il Varesotto, terra di campioni e di grandi passioni per il ciclismo, conoscono bene queste sensazioni anche se spesso sono state dimenticate dalla nostra massima corsa a tappe. Nel 2009 neppure il centenario della vittoria nel primo Giro riportata dal nostro Luigi Ganna, ha avuto l’onore di una sede di tappa né di un passaggio nella natìa Induno Olona. Colpa degli organizzatori della corsa, certamente. Meno dei promotori locali che del resto dimostrano il loro assiduo impegno organizzativo per la tradizionale Tre Valli e hanno nel palmarés ben due campionati del Mondo.
Ma tutto oggi è “affare”, “soldi” e soltanto possibilità o meno di un ritorno dell’investimento pubblicitario. La sapeva benissimo, già dai suoi tempi il mitico Giovanni Borghi che per ben due volte nel 1958 e nel ’65 volle l’arrivo di una tappa del Giro a Cassinetta di Biandronno nel cuore della sua Ignis. Lo sapevano appunto, insieme al produttore dei frigoriferi, gli sponsor degli aperitivi, dei salumi, delle cucine o dei gelati. E, più recentemente, lo sapevano e lo sanno quelli dell’edilizia per finire oggi alle banche, ai telefoni, alle assicurazioni, e addirittura alle ricche capitali di una ex Repubblica Sovietica. Ma anche nei tempi non ancora considerati dai marchi commerciali, cioè nell’epoca delle squadre espressione delle fabbricanti di biciclette, le mitiche Legnano, Bianchi, Ganna, Gloria, Atala, Varese è stata assai dimenticata dagli organizzatori della rosea Gazzetta.
Il primo arrivo del Giro nella nostra città avvenne nel 1938, quando ormai Alfredo Binda, che di giri ne aveva vinti ben cinque, si era ritirato dall’agone senza la soddisfazione di avere trionfato nella sua terra. Un piacere, quello di essere accolto sulle strade di casa e dalla passione delle proprie genti, che non hanno potuto mai provare neppure Remo Bertoni, Michele Mara ed Augusto Zanzi che pure avevano onorato tanti Giri con buoni piazzamenti. Poi Varese fu sede di tappa nel 1957, nel 1958 (ancora grazie all’Ignis) nel 1977 e infine nel 1990. Una tappa quest’ultima, a cronometro, conclusa in salita al Sacro Monte e vinta da Gianni Bugno in una giornata da tregenda. Acqua fulmini e saette già dal mattino su noi poverini ammassati lungo i tornanti del monte ad aspettare il nostro campione. Valoroso quanto modesto, che concluse vittorioso il Giro portando ininterrottamente, sempre lui, per tutte le tappe, quella maglia rosa che aveva indossato dal primo giorno. Credo un primato ineguagliato. In altre cinque o sei occasioni il Giro ha percorso o ha fatto tappa in località della nostra provincia. Dettagli, percorsi e vincitori ci vengono tutti descritti nel magnifico volume “Mondiali 1951-2008, un secolo di storia” edizioni Arterigere, Varese 2008, di Cesare Chiericati e Damiano Franzetti, una vera “summa” di tutto quanto si possa sapere sul ciclismo varesino. Il libro ci ricorda che Busto Arsizio è stata raggiunta dal Giro nel 1985 e nel 2001. E Busto sarà pure sede di tappa il prossimo 20 maggio per la frazione in partenza con arrivo al Piano dei Resinelli sopra Lecco.
La nostra massima gara ciclistica a tappe il Giro d’Italia parte tra qualche giorno. Da dove? Ma dalla Danimarca! Ormai non è la prima volta che si parte da lontano e dall’estero trasferendo “girini” e carriaggi per centinaia di chilometri, tra una tappa e l’altra, coi mezzi più vari. Addio trasferte solo in bicicletta. Potremo riparlarne. Intanto, buon giro a tutti i corridori e auguri agli organizzatori bustocchi che dedicano il loro impegno anche alla presentazione di una mostra (dal 12 al 27 maggio al Museo del Tessile) di cimeli del grande Fausto Coppi, l’indimenticabile campione che, tra il 1946, ritorno dalla prigionia, ed il 1960, anno della morte, fu sempre tesserato per il Velo Club Bustese.
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