“Habemus papam è l’abbreviazione della formula con la quale viene annunciata l’elezione del sommo pontefice dalla loggia delle benedizioni della basilica vaticana. Accade che la formula, la cui datazione è incerta, a volte lasci la folla raccolta in piazza S. Pietro in grandissima perplessità. Nell’ottobre 1978 il cardinale Felici dopo aver annunciato Carolum lo completò con il cognome Wojtyla pronunciato alla polacca. Certuni, nell’incapacità di identificarlo, pensarono all’elezione di un papa africano. A memoria post-tridentina, nessun annuncio dell’elezione del sommo pontefice è stato accolto con indifferenza o con manifesta ostilità”.
Il brano, curioso, indiscreto e perfino un po’ pettegolo, è tratto dalla scheda della citata formula elettiva del Dizionario Storico del Papato (Bompiani 1996) coordinato dallo studioso di storia ecclesiastica Philippe Levillain, scomparso a Parigi lunedì 4 ottobre a ottant’anni: “Il progetto di compilare un dizionario storico del papato e non semplicemente un dizionario dei papi – spiega l’autore nella presentazione – è nato dall’osservazione dei piccoli fatti, quelli amati da Stendhal che possono essere la chiave per consultare un’opera collettiva che si è voluta insieme dotta e accessibile”. Un testo colto e al tempo stesso divulgativo, attento agli aneddoti e fruibile da tutti.
Il Dizionario è una monumentale opera in due volumi di 1566 pagine e si avvale delle “voci” compilate dai migliori specialisti della storia della Chiesa, fra cui molti italiani. Tradotto in dodici lingue, racconta le vite e le opere dei papi e degli antipapi, l’evolversi della istituzione ecclesiastica nel corso dei secoli, entra nei segreti della macchina amministrativa pontificia, ricostruisce i grandi fatti storici riconducibili all’epoca del potere temporale della Chiesa, Lepanto, gli scismi, gli effetti dell’unità d’Italia. Spiega terminologie, fornisce riferimenti sconosciuti, illustra documenti di rilevanza storica e tutto quanto ha scandito la storia bimillenaria della Chiesa cattolica.
Philippe Levillain, ex direttore all’École française di Roma, membro del Pontificio comitato di scienze storiche, docente alle università Lille III e Paris-Nanterre, si è occupato dell’arcivescovo francese tradizionalista Marcel Lefebvre, della rinuncia nel 2013 di Benedetto XVI e di Paolo VI. Tra le sue opere, in coppia con François-Charles Uginet, c’è il libro “Il Vaticano o le frontiere della grazia” (Rizzoli, 1985) che penetra nel labirinto delle istituzioni vaticane e rivela il fitto intreccio di allusioni, simboli, gerarchie ufficiali o inespresse che costituisce il complesso mondo della Santa Sede. Lo Stato dove convivono il sacro e il secolare.
Il taglio quasi giornalistico non cambia rispetto al Dizionario: “Lo Stato della Città del Vaticano – scrivono Levillain e Uginet – non è una nazione, non è una città e non è più Roma. Ha come capo un sovrano che governa 44 ettari ed è prima di tutto, come indica l’Annuario pontificio, vescovo di Roma, vicario di Gesù Cristo, successore del principe degli apostoli, sommo pontefice della Chiesa universale, patriarca d’Occidente, primate d’Italia, arcivescovo e metropolita della sede di Roma. Non c’è capo di Stato per piccolo che sia in una situazione altrettanto invidiabile. Esiliato o prigioniero, egli resta il capo della Chiesa universale ovunque si trovi”.
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