C’è un apparente paradosso nella polemica politica che ha animato la settimana dopo le elezioni. Il segretario della Lega, Matteo Salvini, è sembrato infatti voler arrivare sull’orlo della crisi di Governo contestando una delega fiscale che avrebbe previsto un aumento delle tasse sulla casa. In effetti la delega, un provvedimento che affida al Governo la possibilità di entrare nel merito delle singole misure, prevede la riforma del Catasto, cioè di quella struttura dove sono registrate tutte le proprietà immobiliari. Ebbene tutti in teoria sono d’accordo nel ritenere che le attuali regole catastali vadano aggiornate per adeguarle al valore reale degli immobili, ma in pratica non sono facili le strade per cambiare le basi di calcolo dei redditi fondiari e mantenere invariata la tassazione.
Vi è da dire che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha promesso e sottolineato che “nessuno pagherà di meno e nessuno pagherà di più”, e se non c’è motivo di dubitare della parola di Draghi è però vero che non si può sapere che cosa succederà quando ci sarà qualcun altro a Palazzo Chigi.
Ma il paradosso è proprio questo: Salvini ha più volte garantito negli ultimi mesi che dopo le prossime elezioni non potrà che essere lui, o comunque il centro-destra, a gestire il Governo. E allora sarà il primo a poter evitare il tanto temuto aumento delle tasse sulla casa.
Ma dopo i risultati delle elezioni amministrative di inizio ottobre lo scenario non è più chiaro come in passato. Gli equilibri politici sembrano aver preso una dinamica che vede a sinistra una profonda crisi di consensi verso i Cinquestelle e a destra un potenziale sorpasso di Fratelli d’Italia sulla Lega. Quindi Salvini a Palazzo Chigi rimane più un’ipotesi che una certezza.
Resta il fatto che la riforma del Fisco, Catasto compreso, è di grande importanza per il futuro del Paese per almeno due motivi. Il primo è che l’attuale sistema fiscale penalizza il lavoro rispetto alle rendite finanziarie e lascia aperta la strada a grandi possibilità di evasione o di elusione. Il secondo è che la riforma del Fisco è uno degli elementi che fanno parte delle promesse italiane alla Commissione europea per ottenere i fondi del Piano di ripresa e resilienza.
Il metodo di tassazione degli immobili è ancora basato sulle regole che ne hanno guidato l’istituzione oltre 130 anni fa, regole aggiornate nel 1936 e successivamente adattate all’impiego degli strumenti di elaborazione e archiviazione informatica. Con il risultato che l’impostazione di base, il calcolo del numero di vani, non è più attuale per i profondi cambiamenti nelle scelte edilizie, mentre vi è un numero significativo di immobili che riesce a sfuggire alla registrazione.
La riforma del Fisco è quindi anche un passo fondamentale per contrastare quell’evasione fiscale che ha raggiunto e superato quota cento miliardi e che penalizza le imprese regolari rispetto a quelle che sfruttano il lavoro nero. Oltre a rappresentare un ostacolo ad una più equa distruzione degli oneri tributari tra i cittadini.
Sarebbe oltremodo utile che su di un tema come quello fiscale si possa raggiungere una sostanziale convergenza delle forze politiche senza utilizzare gli strumenti della polemica per contrastare le scelte. Perché un fisco equo e trasparente dovrebbe essere negli interessi di tutti e di ciascuno. Così purtroppo non è perché la logica del voler mettere paletti e bandierine per acquisire visibilità è sempre molto praticata.
Anche se i cittadini elettori sembrano iniziare a distinguere tra le parole e i fatti, tra le proteste e le proposte costruttive. Non a caso un sindaco come Sala a Milano, dove le buche nelle strade vengono rapidamente chiuse, ha ottenuto il 60% dei consensi, mentre Raggi a Roma, dove le buche rimangono aperte per mesi, non ha superato quota 20%.
You must be logged in to post a comment Login