Gianni nazionalpopolare, Gianni prezzemolino. Ormai – parliamo di Gianni Morandi – l’ex cantante pop idolatrato dalle ragazzine degli anni Sessanta divenute mamme e nonne sta dappertutto in TV e fa da uomo di punta e di raccordo per gli spettacoli di musica leggera: conduce suoi special antologici, presenta il Festival di Sanremo, è giudice narrativo in trasmissioni dedicate a colleghi o a periodi del nostro passato canzonettistico. Qualche sera fa lo si è visto, giustamente, commemorare Mino Reitano, altro bravo cantante (ancora più nazionalpopolare) dell’epoca, insieme con il giornalista torinese Massimo Giletti, con Massimo Ranieri e con Gigliola Cinquetti.
È tanto famoso Gianni che su di lui e sulla sua inesauribile carica giovanilistica sono fiorite anche particolarissime leggende metropolitane, non tutte legate al fatto se porta o no il parrucchino e alla bravura del suo parrucchiere nella scelta delle tinture. Senza andar lontani, basta fare un giro nella Rete per rendersene conto.
Non è quella di Gianni una gloria immeritata, anzi. Il suo posto al sole se l’è conquistato a prezzo di sacrifici, di vicissitudini non sempre liete, di alti e di bassi (ma gli alti sono stati ricompensati dalla vendita di dischi, di cassette, di CD…). Lo spazio che s’è ritagliato è quello dell’eterno ragazzino maturo – il prossimo dicembre Gianni compirà 68 anni – dell’uomo di spettacolo molto, molto professionale, generoso con sé stesso e con gli altri e, tutto sommato, non polemico e non presuntuoso come l’Adriano Celentano che – da grande e furbo cantante qual era e qual è – ha imboccato la perigliosa strada del maitre à penser.
Di Gianni Morandi, se la cosa non dovesse dispiacergli, si potrebbe dire che è un “prodotto” italiano degli anni Sessanta come la Cinquecento e come la TV. Perché proprio con la Televisione Gianni è diventato grande.
Incominciammo a conoscerlo nel 1962 – mezzo secolo fa – alla trasmissione per giovani (o giovanissimi) “Alta pressione”, che passava sul secondo canale nazionale nato da pochi mesi. Ci sono due sue canzoni subito da ricordare e già scolpite nel ricordo: “Andavo a cento all’ora” e “Go kart twist”; e poi l’altra, che famosa è dir poco, “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”. In quegli anni Gianni faceva pendant con Rita Pavone: piccola di statura, grandissima di voce.
Con “Fatti mandare dalla mamma..”. siamo nel ’63. E fu pressappoco allora, con qualche mese di anticipo rispetto all’incipiente guerra del Vietnam, che il nostro avviò una sua personalissima “offensiva del te” (senza offesa alcuna): “In ginocchio da te” (1964), “Non son degno di te” (1964); “Se non avessi più te” (1965) e poi “Se perdo anche te” (1966), per non dire di “Mi vedrai tornare” e delle “cose da ricordare”: ben sei volte “te”, invece delle cinque annunciate…
Con gli stessi titoli e programmi venivano presentati i film (i cosiddetti musicarelli) diretti da Ettore Maria Fizzarotti (1916-1985), che se non concorrevano all’Oscar per il miglior film straniero contribuivano tuttavia ad alimentare il mito morandiano: insieme con Gianni la protagonista di quei film era Laura Efrikian, più grande di lui di quattro anni ma con il viso e il sorriso da bimba. Anche nella vita Laura fu moglie di Gianni, e gli diede una figlia e un figlio (una terza era morta infante a poche ore da una drammatica serata finale di Canzonissima), prima che sul finire degli anni Sessanta e della prima fase del mito anche il matrimonio naufragasse.
In molti dei musicarelli fizzarottiani Gianni era “uno di noi”, spesso innamorato in divisa – quando allora si facevano quindici e poi quattordici mesi sotto naja – tanto che qualcuno prese a chiamarlo Giberna. E tale rimase per sempre: militar soldato della canzonetta.
Quando si dice la Televisione: Gianni costruì la sua popolarità negli anni di un’Italia felix nei Cantagiri e, soprattutto, nelle Canzonissime. Due dei suoi più importanti successi della metà degli anni Sessanta – “Si fa sera” e “Un mondo d’amore” – furono sigle di trasmissioni tv, nel caso citato: “Mare contro mare” e “Giovani”.
Passò anche momenti non facili il Gianni nazionale: come un’istituzione non sfuggì ai contestatori del Sessantotto. Ma seppe riciclarsi e ricominciare. Anche come attore di cinema e di teatro e non solo di musicarelli, come cantante (avviò un’importante collaborazione artistica con il sodale bolognese Lucio Dalla) e come musicista (negli anni di maggior difficoltà prese a frequentare il Conservatorio di Santa Cecilia e studiò il contrabbasso), come uomo di mondo tutto italiano: fondò la Nazionale calcistica cantanti, che ha sempre operato per beneficenza.
Ha scritto, bene, di lui il giornalista Stefano Mannucci, uno specialista: “Gianni Morandi ha avuto il gusto e l’intelligenza di saper crescere in pubblico, affrancandosi via via, nel tempo dall’immagine esuberante e provinciale del ragazzo comunque simpatico, facendosi da parte nei momenti bui e sfruttando la sua carica e la sua versatilità per rimanere sempre nel cuore della gente..”..
Benché con buona padronanza ne abbia presentato le ultime due edizioni, Gianni non è mai stato un uomo del Festival di Sanremo, ma – come s’è visto – quasi un animale esclusivo da Tv, che oggi di Sanremo è tutto. Non vinse mai – almeno da solo – un Festival, a parte il trio con Tozzi e Ruggeri di “Si può dare di più” (1987). E a Sanremo approdò tardi, nel 1972, dopo la grandeur degli anni Sessanta; arrivò quarto e il titolo del pezzo era “Vado a lavorare”. Appunto.
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