Le Beatitudini non sono una via solo per super-uomini. La grazia di cui parla san Paolo è sinonimo di ‘gioia’. Dio stesso è grazia, sorgente inesauribile d’amore per noi: come è possibile che questo Dio d’amore voglia nutrire i suoi figli di leggi impossibili e dure come le pietre?
Gesù ci dice che siamo amati dall’Abbà, siamo degni di essere amati da lui e dobbiamo innanzitutto accettare con gioia noi stessi.
Le beatitudini diventano del tutto semplici e naturali se rinunciamo all’idea di uno che ci spia o ci aspetta al varco, facendo scattare una trappola ad ogni nostro passo falso.
La prima comunità dei credenti presentata nei primi capitoli degli Atti degli apostoli è l’immagine reale della vita vissuta nelle beatitudini:
comunità dei semplici, dei poveri, di gente che non tiene niente per sé, che non cerca potere, ma condivide volentieri ed è piena di gioia.
Con le beatitudini Dio vuole contestare l’idea corrente di felicità.
Le sue parole ci paiono lontane, tanto sono diverse dal nostro mondo! Ma il fatto è che noi (come allora) viviamo in un mondo rovesciato.
Oggi, nel nostro tempo, questo brano del Vangelo, nonostante appaia veramente assurdo, è ancora più chiaro: nessuno si sogna di essere felice e povero insieme, contento e afflitto… Ma il problema vero è che noi abbiamo abbassato il tiro; ci basta stare un po’ meglio e nulla più.
‘Beatitudine’ è una parola fuori dal linguaggio comune, perché eccessiva, troppo piena; tanto carica e forte da non entrare nelle nostre attese. Nella nostra vita le grandi soddisfazioni sono poco più che mediocri.
La pagina del Vangelo ci riporta ad una gamma di vita assai più vasta, più ricca, più profonda. Diversa.
Ha il volto umanissimo di Gesù, l’uomo delle beatitudini: l’uomo mite e umile di cuore, l’uomo povero di spirito, operatore di pace, l’uomo appassionato e misericordioso, l’uomo perseguitato a causa della giustizia.
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