Insomma, bisognerà farsene una ragione se tra un paio di mesi, al massimo, non vedremo più nei telegiornali il viso rassicurante di Angela Merkel, coi suoi modi pacati, sobri e senza sentirle dire mai una parola in più del necessario. Senza alzare mai la voce ed evitando di parlare a braccio, affidandosi sempre a degli appunti scritti. Anche nei momenti più complicati ha avuto un atteggiamento composto e senza strappi. Che è sempre stato lo stesso fin dall’inizio – sedici anni fa – quando forse non le si dava un gran credito, proprio per questo suo atteggiamento riservato, che può apparire distante se non estraneo alla politica. E invece, sono state proprio queste sue qualità, insieme alla strategia dei piccoli passi, a risultare vincenti, salutari per il suo paese e anche per noi. Certo, non ha regalato niente a nessuno e ha guardato con determinazione agli interessi della collettività che rappresenta, stando ben attenta ad ascoltare quel che dicono i sondaggi.
E tuttavia, proprio nel momento più difficile, quello della pandemia, ha saputo andare oltre l’egoismo nazionale. La decisione di farsi carico (insieme a Macron) dei debiti europei, a favore degli stati membri, per creare le condizioni di una rapida ripartenza, sotto forma di sovvenzioni, in gran parte da non rimborsare, è stata un passaggio risolutivo non solo per affrontare la situazione di difficoltà contingente, ma anche per creare una prospettiva d’integrazione europea che andasse oltre Maastricht. Per provare a costruire una comunità che non fosse solo monetaria, ma anche economica. Per contare di più. Per superare l’irrilevanza che abbiam dimostrato di avere sul piano della difesa comune. E per veder di essere considerati per quello che effettivamente siamo, una potenza culturale e industriale, ancora capace di essere un punto di riferimento sul piano politico ed economico.
Ha avuto il coraggio di portare avanti questa proposta, perché negli anni passati la questione del controllo ossessivo del debito pubblico – l’austerità – è stata uno dei punti d’attrito tra stati e aveva visto proprio la Germania tra i sostenitori più convinti e pugnaci di questa linea. I conti – si diceva allora – vanno tenuti in ordine nonostante tutto, anche nei momenti più complicati. Senza contare che atteggiamenti del genere hanno il pregio di essere solo rigidi e inutilmente distanti della realtà, che per essere governata non ha bisogno di steccati, ma di ragionamenti. Il sostenitore più convinto, Wolgang Schäuble, alla fine ha dovuto fare autocritica. Anche se sarebbe stato facile capire, da subito, che una strada del genere non avrebbe portato lontano, come si è visto nel caso della crisi del 2010, quando si sarebbe potuto fare molto di più e molto meglio, se solo si fosse scelto di abbandonare l’arroccamento posto a difesa del pareggio di bilancio.
Dunque, dietro il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) c’è molto di più di un contributo finanziario. Dietro quel progetto c’è il nostro futuro (e soprattutto quello dei nostri figli), che passa per una maggiore integrazione europea, la sola in grado di darci una prospettiva per uscire dall’irrilevanza verso cui siamo avviati. Dunque, c’è bisogno di convinzione e consapevolezza. E c’è bisogno di serietà, di atteggiamenti chiari e univoci, senza tentennamenti. C’è molta fiducia nel governo che c’è, perché alla guida si vedono qualità e l’esperienza. Mentre confidiamo molto meno su certi alleati di governo che dimostrano inconsistenza, pressapochismo e atteggiamenti ondivaghi, col rischio che ci capiti il peggio e si perda l’ultimo treno. Mentre ci vorrebbero competenza e professionalità. Avremmo bisogno di una Merkel. Di tante Merkel.
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