Dopo una campagna elettorale altalenante (in primavera i sondaggi davano per vincenti i Verdi, i socialdemocratici destinati ad un inarrestabile declino, a luglio i democristiani riconquistavano il primo posto nei sondaggi e si impennava la curva dei consensi dei socialdemocratici), i tedeschi hanno votato.
Conosciamo i risultati: Scholz – il candidato dei socialdemocratici – ha ottenuto il 25,7% contro il 24,1% del democristiano Laschet, i Verdi il 14,9%, i liberali l’11,2%, l’estrema destra il 10% (perdendo il 2,3 dei consensi rispetto al 2017, ma diventando il primo partito in due Leander orientali), l’estrema sinistra – i Link – con il 4,9% ha ottenuto 39 seggi nel Budenstag.
Fin qui le fredde cifre. Quali probabili coalizioni saranno possibili per avere una maggioranza per guidare il governo. Sarà Scholz (socialdemocratico) o Laschet (democristiano) il prossimo cancelliere?
Penso che la Grosse Koalition, teoricamente possibile, appaia altamente improbabile perché i democristiani si sentirebbero umiliati a partecipare a un simile governo con guida socialdemocratica. Restano quindi possibili soltanto coalizioni a tre partiti: il cosiddetto Ampe (semaforo) tra socialdemocratici, Verdi e liberali e Giamaica (dai colori della bandiera del paese caraibico) tra democristiani, Verdi e liberali. I Verdi preferirebbero la prima soluzione, i liberali la seconda. L’ago della bilancia diventano quindi i liberali, che sono progressisti sul piano dei diritti civili; molto vicini al mondo degli affari, sono conservatori sui temi economici. Il loro leader, Christian Linder, rivendica apertamente per sé il ministero delle Finanze: qualora lo ottenesse, non sarebbe una bella notizia per noi e per gli altri Paesi che vorrebbero un superamento definitivo delle politiche del rigore. Inoltre, Verdi e liberali sono distanti nei loro programmi su temi quali spesa pubblica, fisco e transizione ecologica.
Le elezioni del 26 settembre non hanno insomma deciso chi sarà a guidare la Germania nei prossimi quattro anni. Al contrario, sono certe le cause che hanno portato alla frammentazione del quadro politico tedesco, molto lontano dalla stabilità politica, vanto della democrazia tedesca. I due partiti CDU e CSU negli ultimi anni hanno vissuto di rendita all’ombra della popolarità di frau Merkel senza produrre idee e proposte concrete per far fronte alle molte sfide dell’attualità. Die Zeitung, studiando i flussi elettorali, ha dedotto che molti elettori conservatori, disorientati dall’indirizzo “modernizzatore”, soprattutto in campo migratorio, della Merkel, hanno votato per l’estrema destra e per i liberali e altri per i socialdemocratici e per i Verdi; l’SPD ha goduto dell’effetto trainante della popolarità di Olaf Scholz, ministro delle Finanze nel governo uscente: il partito si è unito compatto intorno al suo candidato durante la campagna elettorale, ma non escludo che riemergeranno le divisioni interne, soprattutto da parte della componente giovanile.
Un’altra annotazione che mi sembra importante: l’assenza nel dibattito pre-elettorale della politica estera, l’assenza di chiare visioni strategiche sul futuro dell’Europa, che lascia uno spazio importante alla Francia di Macron – se riuscirà a mantenere le sue posizioni che incominciano ad essere insidiate da Eric Zemmour, neo- gaullista – e al nostro paese guidato da Draghi.
Non posso terminare senza un sincero apprezzamento per la tenacia e il coraggio di Angela Merkel, che ha affrontato con pragmatismo e instancabile ricerca del compromesso una serie di crisi importanti: quella finanziaria del 2008, quelle dell’euro del 2011 fino all’odierna pandemia. Non meno forti sono state le decisioni dell’uscita dal nucleare dopo Fukushima, l’accoglienza, nel 2015, di oltre un milione di profughi siriani e iracheni, l’apertura inattesa alla responsabilità collettiva per il debito dell’UE: tutto ciò ha provocato sconcerto fra gli industriali ed una parte dell’opinione pubblica, ma affetto e impatto emotivo tra l’80% dei tedeschi. Mutti ha guardato al lontano futuro del proprio Paese, non ai consensi elettorali. Ha perso in numero di seggi, ma non in statura morale e in spessore politico. Come Adenauer, il conciliatore, che ha guidato il paese per 14 anni e Helmut Kohl, l’unificatore, suo mentore, che ha guidato il Paese per 16 anni proprio come lei.
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