Sembra che ai nostri cittadini interessi prevalentemente lo stato dell’asfalto dei marciapiedi su cui possono avere difficoltà ambulatoria. Per molti una buona amministrazione della città è legata a quel particolare che diventa simbolo del degrado della città stessa; non lo stato di edifici abbandonati con serramenti sfondati, giardinetti invasi da sterpaglie, recinzioni fatiscenti; non le luci di negozi vuoti malamente sbarrati; non edifici scolastici con residui di eternit o malamente riscaldati.
E così il giudizio si scarica sullo stato di un cordolo del sagrato pedonabile di una chiesa e non si considera invece la diminuzione degli abitanti della città dove gli appartamenti non sono più dedicati ad abitazioni, ma utilizzati come uffici commerciali o studi professionali, vivi di giorno, vuoti di notte.
In effetti la città si sta trasformando sotto la spinta della evoluzione del lavoro che, sensibile alle nuove tecnologie, cambia continuamente il modo di essere realizzato. Non c’è più l’esigenza di avere grandi fabbriche con ampi spazi. Attualmente nei nostri territori risultano più necessari capannoni nemmeno molto grandi, con facilità di trasporti, dove si realizzano attività molto specializzate.
Varese, un tempo ricca di concerie, cartiere, fabbriche produttrici di macchine utensili, calzature, valigerie ed altro, ora non ne ha più. Non ha più bisogno di tanti operai ma senz’altro invece ha bisogno di tante intelligenze capaci di pensare, progettare, programmare, prevedere il suo futuro di città che ospita gente aperta ad un territorio sempre più ampio.
Varese sente il bisogno di essere città non chiusa attorno ai suoi campanili, che possono e devono continuare ad esistere per le esigenze della vita quotidiana, ma dovrà far parte di una Regione che dovrà sapersi organizzare per essere una estesa grande unica città, capace di avere una veloce mobilità che permetta di raggiungere il centro milanese e viceversa in poco più o poco meno di trenta minuti per poter quindi andare da periferia a periferia in una sessantina di minuti. Una città con centri di studi e di cultura di alto livello (università ma anche istituti professionali per i nuovi lavori) e sistemi sanitari completi, molto vicini alle esigenze della salute dei cittadini.
Le pavimentazioni dei marciapiedi contano ancora tanto rispetto a questi altri interrogativi? In effetti, dove è il cervello di un ingegnere capace di studiare e progettare una pavimentazione resistente agli insulti atmosferici di un clima in cambiamento? Un materiale capace di passare dal sotto zero alle temperature alte provocate dalla energia solare, che viene oltre modo assorbita per via del colore scuro degli asfalti attuali, che diventano molli e incapaci di sopportare insulti di pesi veicolari, che per necessità talvolta (purtroppo spesso) invadono i marciapiedi. Quindi problema tecnico e non politico-amministrativo.
Ripetiamoci: colpa degli amministratori? Chiunque amministrerà la città, i marciapiedi saranno sempre così. A ciò si deve aggiungere la responsabilità di tutti noi, incapaci di attenzioni per le strade della comunità che volutamente imbrattiamo, sporchiamo con impensabili rifiuti.
Tutti ripiegati su noi stessi, restiamo indifferenti (se non personalmente coinvolti nell’evento) alla fuga di ingegni giovanili costretti ad andarsene altrove per cercare possibilità di lavoro, di carriera, di qualità di vita. Andare dove si viene premiati per il vero valore dei singoli e non si rischia di essere inglobati nella strisciante malavita organizzata che risulta essere molto capace di adattarsi sia agli stili del piccolo villaggio sia ai cambiamenti globali superando il provincialismo provocato da un territorio diviso in una miriade di piccoli comuni, impossibilitati a fornire servizi adeguati troppo grandi per le loro possibilità.
La realtà qui accennata in breve necessita di amministratori molto capaci, consci delle difficoltà per progettare le soluzioni adeguate. Sapremo scegliere quelli giusti?
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