Ha detto tante cose il voto di domenica sulla società italiana. Voglio prima di tutto commentare l’astensionismo, mai così alto. Insofferenza verso la politica, ok, ma perché tanto forte proprio nel momento in cui l’Italia sta recuperando dalla pandemia?
Le ragioni sono diverse. Due in particolare. Gli elettori cosiddetti anti establishment nelle passate elezioni sono andati a votare per i Cinquestelle o per i sovranisti. Oggi i grillini sono in una profonda crisi di trasformazione e i sovranisti dopo il Recovery Plan europeo sono rimasti senza munizioni. Ma solo un’offerta politica adeguata alle “periferie” sociali può evitarne il ritorno.
Ma è la seconda ragione che mi preoccupa di più e purtroppo la vedo molto sottovalutata. È in corso da tanti anni la svalutazione dell’autonomia locale con la concentrazione dei poteri a Roma accentuata dalla pandemia. In questo modo molti elettori considerano le elezioni locali un inutile fardello. Ma così si indebolisce la democrazia al suo livello più sensibile e praticabile.
Sul piano strettamente politico la vittoria del centrosinistra nelle grandi città è chiara ed ha ribaltato il risultato di cinque anni fa anche se mancano i ballottaggi di Roma, Torino (esito contro tutti i pronostici a favore del candidato Pd) e di altre città capoluogo come Varese. Perché è successo questo? Ci sono almeno tre fatti.
1) Il centrosinistra ha presentato dovunque programmi ben studiati (buoni o no lo decidono gli elettori) e candidati affidabili percepiti come migliori dei concorrenti.
2) L’unità ritrovata del Pd e del centrosinistra e una strategia di alleanza con i cinquestelle molto lontana da quella che vedeva in CONTE il “federatore”.
3) Questa figura di regista e guida, essenziale con tutti i sistemi elettorali, c’è ed è indubbiamente ENRICO LETTA. Assertivo ma non arrogante, ha la dote del tessitore paziente, che indica un approdo e vuole raggiungerlo con tenacia senza escludere nessuno che possa dare una mano.
Dall’altra parte, la sconfitta della destra e dei sovranisti è da tutti riconosciuta. Apparentemente uniti, in realtà stanno dentro una lotta senza quartiere fra SALVINI e MELONI. Il risultato è stato l’assemblaggio di candidati improbabili come quello di Milano. Il che ha pure influito sulla scarsa affluenza alle urne.
A sfavore di Salvini ha giocato il ruolo “doppio” di formale intesa con DRAGHI e di sostanziale dissenso su troppe scelte del governo (confermato martedì dalla non partecipazione al Consiglio dei ministri sulla delega fiscale). Qualcosa che la sua base produttiva del Nord non accetta più e che non rende neppure al Sud. L’uscita molto critica di GIORGETTI qualche giorno prima delle elezioni si spiega soprattutto così.
Molti leghisti si aspettavano la vittoria al primo turno nella loro storica “culla” di Varese rinfrancati anche da alcuni sondaggi favorevoli. Sognavano cioè la rivincita dopo la sconfitta di cinque anni fa quando al ballottaggio si presentavano con quasi cinque punti in più. Qui hanno pagato la buona amministrazione del sindaco uscente GALIMBERTI (ha un vantaggio del 3%) e, appunto, la frustrazione dell’elettorato per le oscillazioni della linea nazionale.
Il centrosinistra stia però attento. Il risultato complessivo è una piccola svolta positiva ma niente di più. LETTA deve continuare senza intoppi correntizi sulla sua linea di una coalizione inclusiva anche per le prossime politiche.
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