Il culto degli eroi patrii caratterizzò gli stati nazionali tra la fine del ‘700 e l’avvento della globalizzazione. In Italia la memoria popolare degli eroi e dei caduti nelle guerre patriottiche e il ricordo dei grandi della cultura, delle scienze e delle libertà accompagnarono il processo unitario e la successiva costruzione dell’identità nazionale nello stratificarsi di governi e regimi: l’età liberale e democratica; la guerra; la dittatura fascista; la Resistenza; l’avvento della Repubblica. Questo culto sembra oggi svanito a vantaggio di chi fa spettacolo: attori, cantanti, sportivi.
La memoria collettiva fu affidata alla scuola, all’intestazione didattica di vie e piazze, alla divulgazione e alla creazione intellettuale. A questa formazione pubblica si aggiunse l’educazione familiare. Nella mia famiglia i culti civili si fondavano sull’antifascismo come riscatto del mondo e come riscossa nazionale. Nella casa della mia infanzia c’era un eccellente apparecchio radio ricoperto in radica dei tardi anni ’30. Fino alla vittoria della televisione nelle serate domestiche degli italiani, la radio non fu solo una fonte continua di notizie. Divulgò ottime musiche – lirica, classica, jazz e belcanto. Mio zio era un appassionato, e veniva spesso la sera. In queste occasioni per qualche minuto ero ammesso al rito dell’ascolto.
Nonostante l’età avanzata, Toscanini era negli anni ‘50 ancora al centro delle attenzioni del pubblico. Alla forza trascorsa dei suoi gesti e alla vibrante bravura si unì la fama della figlia Wanda e della nipote Wally. Era amato perché schivo, ostile al divismo, tutto d’un pezzo, perfezionista e tosto nel carattere.
Fu ascoltando la radio che potei apprezzare l’artista e l’uomo. La biografia di Toscanini è un simbolo altissimo. Seppe dire dei no. No che fanno storia. Nessuna storia è mai maiuscola, l’eroismo non è un’eccezionalità che trascende il quotidiano né si associa solo alla vittoria o a una morte gloriosa. La storia è avere vissuto il proprio tempo nel modo migliore, anche da anonimi.
La sua direzione di un coro smisurato che cantava il Va’ pensiero suggellò nel 1901 il secondo addio di Milano a Giuseppe Verdi, accompagnato dal Monumentale a piazza Buonarroti. Fu un evento memorabile. Già il mese prima il funerale privato si era trasformato in una pubblica manifestazione di affetto. Toscanini entrò nella memoria per aver dato forma alla simbiosi di affetti tra Verdi, la Scala e la sua città d’elezione, progressista, patriottica, repubblicana e laica.
Il no di Toscanini al fascismo si concretizzò in più episodi. Era così famoso nel mondo da poter imporre condizioni che umiliavano il Duce. Rifiutò di dirigere alla Scala nel 1926 la prima della Turandot di Giacomo Puccini in caso di presenza del tiranno. Ribadì il no nel 1931 a Bologna: avrebbe diretto al Comunale a condizione di non eseguire la Marcia Reale e Giovinezza e di non avere gerarchi in sala. Arrivato al teatro fu aggredito e malmenato da un manipolo di squadristi. Riparato in albergo, subì nuove minacce. Decise di lasciare l’Italia, e vi rientrò solo a liberazione avvenuta.
Nel 1936 rifiutò di dirigere per Hitler a Bayreuth. Contro l’antisemitismo e l’antisionismo si definì ebreo onorario. Nel 1943, sui muri della Milano bombardata, si poteva leggere “Torni Toscanini”: come dire, basta con il duce, i fascisti e la loro guerra. Nel maggio 1944 aprì un concerto per la Croce Rossa al Madison Square Garden con l’Inno delle Nazioni e l’Internazionale. Poco dopo intercesse presso Roosevelt perché gli Stati Uniti riconoscessero la Resistenza.
Nel maggio 1946 il concerto da lui diretto alla Scala fu ascoltato dai milanesi in una piazza gremita fino al Duomo e divenne il simbolo della rinascita democratica dell’Italia di lì a poco repubblicana. È l’Italia che a fatica ancora siamo.
Quando Luigi Einaudi lo nominò senatore a vita, non si ritenne degno e non accettò. Sbagliò. Non sbaglierà, accettando, Claudio Abbado, l’altro gigante della direzione musicale italiana.
Mi commuovo a ripercorrere questi eventi. Ammiro la forza d’animo che segnò un’epoca severa.
Nel generale analfabetismo pochissimi conoscono Toscanini. Oggi sarebbe sgradito, non amato. La sua fermezza turberebbe quel melenso spirito bipartisan che vorrebbe suscitare l’equiparazione pacificatoria tra antifascisti e fascisti.
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