Quando, a metà della manifestazione riminese, il Corriere della Sera ha pubblicato un editoriale, a firma Dario Di Vico, dal titolo «Il «metodo Meeting», ho pensato: ecco è accaduto di nuovo. Non vi è anno infatti (e sono 41) che la kermesse non riesca a proporre, nei tradizionali mesi dedicati allo svago estivo, temi e contenuti che interrogano e invitano alla riflessione.
“Il metodo Meeting -scriveva il quotidiano da sempre punto di riferimento dei poteri forti italiani- si è visto all’opera anche in materia di politica. I big che si sono confrontati sul palco della Fiera di Rimini hanno pienamente onorato l’invito ricevuto, sono stati insieme concisi e concreti. Hanno smesso i toni urlati di cui alcuni di loro si avvalgono abitualmente nei talk show e hanno spostato la competizione sul terreno dei contenuti, le policy. Volendo potremmo gridare al miracolo oppure più modestamente accontentarci di dire che un’altra comunicazione politica è possibile».
Il “coraggio di dire io” era il titolo del Meeting di quest’anno. Intorno al tema si sono snodate una decina di mostre, molti spettacoli, incontri di livello che hanno attirato anche importanti ospiti stranieri. In un momento di nichilismo diffuso, com’è quello che stiamo attraversando, è stato importante riscoprire l’incontro tra grido dell’uomo e risposta esistenziale. Misure di sicurezza all’ingresso (con una app dedicata scaricabile solo dopo la presentazione del green pass), distanziamenti, mascherine ed un gran numero di volontari hanno consentito anche dal punto di vista sanitario un felice esito della manifestazione. Come sempre tantissimi giovani ad affollare gli stand.
Quest’anno ho lavorato con una quindicina di universitari. Insieme abbiamo dato vita ad una radio in streaming (“Meeting Plus radio”) durata per i sei giorni della manifestazione. Ragazzi di diverse città italiane. Quasi nessuno proveniente dalle fila di Comunione e Liberazione, molti per la prima volta a Rimini. Mi ha colpito, oltre alla naturale (e direi quasi inevitabile) freschezza, l’urgenza con cui le domande sul senso della vita si imponevano nel loro agire: una febbre resa ancor più pressante dai mesi passati in lock down e dai lutti che alcuni di loro avevano attraversato. Mostre come “Vivere senza paura nell’ età dell’incertezza” (con contributi di Williams, Carron, Taylor), una su Pasolini (“Manca sempre qualcosa, c’è un vuoto in ogni mio intuire. Ed è volgare, questo non essere completo”), una realizzata da alcune donne ugandesi malate di Aids (“Tu sei un valore”) hanno offerto importanti testimonianze : oggi i ragazzi non chiedono discorsi ma ‘incontri’.
Che cosa ci insegna il “metodo Meeting” ? Prima di tutto che è possibile confrontarsi, pur da diverse sponde, senza per questo scendere necessariamente all’insulto o alla demonizzazione dell’altro. La ricerca di un bene comune è un cammino faticoso che richiede l’arte dell’ascolto, la capacità di individuare insieme obiettivi condivisi, uno sguardo che vada al di là della immediata ricerca del consenso.
Poi che esiste un Paese positivo. Positivo e reale. Fatto di centinaia di giovani che, se motivati, sanno dare il meglio di sé, di famiglie che affrontano pazientemente la durezza del vivere quotidiano certi che la loro fatica non andrà’ dispersa, di pensionati che non considerano conclusa con l’esperienza lavorativa il senso della vita ma dedicano tempo ed energie alla solidarietà. Un popolo capace di gratuità.
Infine che è possibile coniugare temi ‘alti’ con la leggerezza di una vacanza. Si possono offrire dibattiti o spettacoli di qualità’ (un concerto di Uto Ughi, una lettura popolare in piazza di brani della Divina Commedia), lasciando poi il tempo che occorre anche per una puntata al mare o per una scorpacciata sulle colline. In fondo quella intuizione di ‘quattro amici al bar’ che, vedendo il tradizionale passeggio lungo la spiaggia a Rimini, ebbero l’illuminazione di proporre l’annuncio cristiano anche ai villeggianti, si dimostra a distanza di quarant’anni inossidabile, anzi ancora più’ urgente di allora.
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